Corte dei Conti Puglia Sent. n. 193/17 – Violazione della normativa posta in tema di regime intramurario – Nel sistema delineato dal decreto legislativo 30.12.1992 n. 502 e successive modifiche (art. 72 della legge 23.12.1998 n. 448, D.P.C.M. 27.3.2000) l’assoggettamento al rapporto di lavoro esclusivo comporta l’incompatibilità con l’attività libera professionale extramuraria (art. 1, comma 5 della legge n. 662/96), e la sottoposizione dell’attività professionale c.d. intramuraria – cioè l’attività svolta, in nome e per conto dell’azienda individualmente o in equipe al di fuori dell’orario di servizio e delle attività previste dall’impegno di servizio all’interno della struttura aziendale – a specifici vincoli volti a determinarne le modalità e l’assoggettamento a verifica per assicurare un corretto ed equilibrato rapporto con l’attività istituzionale oggetto dell’impegno di servizio, da considerarsi sempre prevalente.
FATTO E DIRITTO: La Procura regionale, con atto di citazione, depositato in data 21.07.2016 e ritualmente notificato, ha citato in giudizio il convenuto per ivi sentirlo condannare al pagamento, in favore dell’ospedale consorziale Policlinico di Bari, a titolo di risarcimento e con condotta dolosa (o comunque gravemente colposa), del danno pari ad E. 36.802,26 oltre interessi, rivalutazione monetaria e spese di giustizia. Esponeva il Requirente che, in esito ad attività investigativa svolta dalla Guardia di Finanza di Bari, sarebbe emersa un’ipotesi di danno erariale derivante dall’illegittimo espletamento di attività libero professionale da parte di un Dirigente medico in servizio presso il detto Policlinico, in violazione della normativa posta in tema di regime intramurario.Nel dettaglio veniva appurato che il dott. B. B. – specializzato in neurologia – in regime di intramoenia allargata presso lo studio sito —– alla via ——- avrebbe effettuato numerose visite senza il rilascio della prescritta ricevuta ovvero l’emissione di un documento recante un importo inferiore. Le contestazioni che si dirigono al convenuto muovono dal presupposto che questi, in rapporto di esclusività con il policlinico di Bari, abbia “omesso reiteratamente l’emissione di numerose ricevute sanitarie a fronte degli onorari percepiti, rendendo evidente la violazione del regime di esclusività prescelto…ne consegue che costituisce danno erariale per violazione dolosa (o comunque gravemente colposa) del rapporto sinallagmatico instaurato con l’amministrazione la differenza tra quanto percepito dal B. e quanto costui avrebbe dovuto percepire in regime di non esclusività con la ASL”, in conseguenza “dell’esercizio dell’attività professionale extramuraria non lecitamente esercitata dal medesimo”. Deve essere solo ribadito che nei confronti dei dirigenti sanitari in rapporto di servizio con enti e/o strutture del servizio sanitario nazionale trova applicazione (a partire dall’art. 4, comma 7 della legge n. 412/91, che ha introdotto il principio di esclusività) il generale divieto per il pubblico dipendente di svolgimento di attività di lavoro autonomo e subordinato affermato dall’art. 53 del TU n. 165/2001 (che richiama la disciplina preesistente in materia di incompatibilità di cui agli artt. 60 e ss. del T.U. 10.1.1957 n. 3).“Nel sistema delineato dal decreto legislativo 30.12.1992 n. 502 e successive modifiche (art. 72 della legge 23.12.1998 n. 448, D.P.C.M. 27.3.2000) l’assoggettamento al rapporto di lavoro esclusivo comporta l’incompatibilità con l’attività libera professionale extramuraria (art. 1, comma 5 della legge n. 662/96), e la sottoposizione dell’attività professionale c.d. intramuraria – cioè l’attività svolta, in nome e per conto dell’azienda individualmente o in equipe al di fuori dell’orario di servizio e delle attività previste dall’impegno di servizio all’interno della struttura aziendale – a specifici vincoli volti a determinarne le modalità e l’assoggettamento a verifica per assicurare un corretto ed equilibrato rapporto con l’attività istituzionale oggetto dell’impegno di servizio, da considerarsi sempre prevalente” (Sezione giurisdizionale per la regione Calabria, 16.04.2013, n. 154, passata in giudicato). Il regime di tipo esclusivo non costituisce un obbligo per i professionisti legati da rapporto di lavoro subordinato con la ASL – i quali rimangono liberi di scegliere altre tipologie di rapporto – ma è caratterizzato da una scelta inequivoca cui la legge, ragionevolmente, annette, da un lato, speciali emolumenti, previsti dalla riforma con intento premiale e, dall’altro, limita con l’apposizione di divieti ed incompatibilità, posti a tutela della riserva delle energie professionali a favore del regime sanitario pubblico. Tale riserva giustifica il riconoscimento degli speciali emolumenti previsti dal legislatore, in una prospettiva di premialità. Il dirigente medico avente rapporto esclusivo con la struttura aziendale di riferimento può svolgere, a fronte di questa scelta, soltanto attività libero professionale in regime di intramoenia, anche se allargata al proprio studio privato, e l’ASL gli riconosce la retribuzione di posizione, la retribuzione di risultato e l’indennità di esclusiva: retribuzioni che diventano indebite nel momento in cui il sanitario deliberatamente violi le disposizioni poste a presidio del rapporto di esclusività e di tutela delle energie professionali a favore del datore di lavoro pubblico, svolgendo attività professionale non avente i requisiti indicati ovvero oltre i limiti consentiti. L’attività libero professionale che si intende svolgere al di fuori del rapporto di servizio deve essere dichiarata all’Amministrazione mentre, nel presente contesto, vi è prova che non tutte le prestazioni rese siano state dichiarate all’amministrazione ovvero siano state dichiarate per importi inferiori. Assodata l’esistenza di un danno, dato dall’illegittima percezione delle indennità che la legge riserva ai dirigenti che non violano il regime di esclusività, deve essere recisamente ribadito come non possa trovare favorevole accoglimento la tesi secondo cui il convenuto non avrebbe sottratto energie lavorative all’ente ospedaliero di appartenenza. La giurisprudenza del tutto pacifica di questa Corte, invero, considera la violazione del dovere di “esclusiva”, come lesione del “sinallagma” contrattuale, che giustifica l’attribuzione patrimoniale della indennità di esclusiva, appunto) a fronte del dovere negativo, assunto dal medico, di non espletare nessun’altra attività “a titolo – si ripete – non gratuito” (Sez. giur. Sardegna n. 46/2013, nonché Sez. App. Sicilia sent. n. 318/2013 e Sezione Umbria n. 49/2005). Nel contesto dell’art. 72 della legge n. 448/1998, pertanto, la violazione del dovere d’esclusività comporta la percezione indebita della relativa indennità, che di per sé costituisce danno