La suprema Corte ha sottolineato le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo, poste a fondamento della disciplina introdotta dalla L. n. 210 del 1992, ed ha ritenuto che la conoscenza del danno, che segna il dies a quo del triennio per la presentazione della domanda di indennizzo per danni da complicanze irreversibili, causate da vaccinazioni obbligatorie e/o trasfusioni di sangue o di emoderivati, suppone che il danneggiato abbia acquisito consapevolezza non soltanto dell’esteriorizzazione della menomazione permanente dell’integrità psico-fisica e della sua riferibilità causale alla vaccinazione, ma anche della sua rilevanza giuridica, e quindi dell’azionabilità del diritto all’indennizzo. Infatti, secondo l’interpretazione letterale e sistematica della L. n. 210 del 1992, artt. 1 e 4 il danno permanente alla salute, non ascrivibile ad alcun comportamento colpevole e quindi non risarcibile ex art. 2043 c.c. comporti l’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, nel caso di epatite post-trasfusionale o da somministrazione di emoderivati (dell’art. 1 cit., commi 2 e 3), sempre che superi una soglia minima, non fa sorgere alcun dubbio, non manifestamente infondato, di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 2 e 38 Cost., in quanto le fattispecie di danno che si collocano al di sotto della suddetta soglia sono da considerare tendenzialmente residuali ed apprezzabili con valutazione medico-legale dalla Commissione di cui al D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 165, sicché non appare irragionevole che il legislatore, nell’istituire la provvidenza assistenziale dell’indennizzo in oggetto, non ne abbia previsto l’applicabilità per i danni inferiori a tale soglia.
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