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Benato, “La Salute: da una dimensione individuale a una collettiva”

900 milioni di persone nel mondo non hanno accesso ai servizi sanitari essenziali. Il 20% della popolazione, quella dei Paesi più ricchi, possiede infatti l’82,7% del reddito mondiale: i Paesi più poveri, anche se sono la maggioranza, ne hanno a disposizione solo l’1,4. Cosa significa? Che i malati dei paesi più “fortunati” possono – è un esempio – accedere gratuitamente a farmaci e terapie costose, come quelle per l’infezione da Hiv e per l’Aids. Questa possibilità è invece negata agli abitanti del “Sud del mondo”.

Risultato: una vita media che, in Occidente, supera gli 80 anni e continua a crescere, contro i 40 anni di molti stati dell’Africa subshariana, in netto regresso rispetto a dieci anni fa.

La FNOMCeO non ci sta: e, convinta che i medici siano i primi responsabili e tutori dell’universalità del diritto alla Salute, vara ufficialmente il progetto “Tutela della Salute globale e cooperazione internazionale”, che sarà presentato il 25, sempre a Roma, in occasione della Giornata mondiale della Lebbra.

Ma quali sono gli obiettivi etici e professionali del Progetto? Li abbiamo messi a fuoco insieme al suo coordinatore, il vicepresidente della FNOMCeO, Maurizio Benato.

Dottor Benato, come è sorta l’idea – di più, la necessità – del Progetto “Salute globale”?
Noi medici non possiamo dimenticare che, sulla Salute, si gioca il presente e il futuro di moltitudini di individui che rischiano altrimenti di essere abbandonati a un terribile destino e, qualora dovesse prevalere l’inerzia, i riflessi negativi ricadrebbero anche sulla nostra professione, sia inquinando i principi etici che la uniformano, sia impedendo la piena realizzazione della sua missione storica.
Anche l’Organizzazione mondiale della Sanità ha più volte evidenziato come la salute e la sicurezza globali debbano diventare obiettivi e strumenti di coesione globale.
Più di due decenni fa, l’Oms lanciò infatti la campagna “Salute per tutti entro il 2000”, ribadendo come la Salute – intesa non solo come assenza di malattia ma quale stato di benessere fisico, sociale e mentale – sia un “diritto fondamentale” dell’Uomo e affermando che la Salute di tutti i popoli è una condizione imprescindibile per la pace e la sicurezza, mentre la disuguaglianza è un pericolo globale.
L’approccio alla Salute globale implica, quindi, scelte morali che la professione medica non può permettersi di ignorare.

E a che punto è, oggi, questo percorso tracciato dall’Oms?
Purtroppo questa strada è risultata molto accidentata ed è sempre più irta di ostacoli.
La globalizzazione di cui si parla ai giorni nostri è prevalentemente quella della Finanza e dell’Economia. Non è un caso, infatti, che la Banca Mondiale spesso sostituisca di fatto l’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’indicare le linee di politica sanitaria internazionale, che sono quelle della Sanità a pagamento, delle privatizzazioni dei Servizi e delle assicurazioni. Gli stessi G8, pur riferendosi alla salute quale strumento di crescita economica, non la riconoscono esplicitamente come un diritto umano.
La salute sembra dunque assumere i connotati di un bene di consumo, a disposizione di chi vuole, ma soprattutto di chi ha i mezzi per acquistarla.

Mezzi che, dicevamo, non sono equamente distribuiti…
No, purtroppo. Il 20% della popolazione mondiale gestisce quasi l’83% del reddito complessivo del nostro pianeta, in una triste applicazione a livello “globale” del principio di Pareto. Con quali conseguenze sulla salute? La più ovvia è che solo una piccola parte del nostro pianeta ha libero accesso alle cure, alle terapie, all’assistenza, con ripercussioni immaginabili sulle condizioni e sulle aspettative di vita.
Tutto ciò si riflette anche sul fenomeno dell’immigrazione, che sta interessando in modo crescente i Paesi dell’Unione europea. Sono 130 milioni i migranti e i rifugiati, di cui tre quinti provenienti dai Paesi del sud del mondo.
È indubbio che le profonde trasformazioni demografiche ed epidemiologiche; le incessanti innovazioni tecnologiche in campo diagnostico e terapeutico; la necessità ineludibile di elevare l’efficienza e l’appropriatezza degli interventi sanitari stiano ponendo a tutti i Paesi la sfida di innovare e anche di riformare profondamente i Sistemi Sanitari.
In ogni caso, però, la Salute non può essere trasformata in un bene di consumo, con tutte le caratteristiche di una merce, né diventare oggetto – come spesso invece avviene – di attenzione e di intervento da parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e terreno di trattativa tra governi e imprese multinazionali.

Quali sono i pericoli di questa tendenza che sposta, in un certo qual modo, il baricentro dalla tutela della salute a quella del mercato?
Queste trattative e attenzioni tendono sempre di più a ridurre l’autonomia d’intervento dei governi negli scambi commerciali, anche quando questi siano rivolti a proteggere i diritti umani dei propri cittadini, come l’accesso ai servizi essenziali e la salute.
Un’autorevole rivista medica, The Lancet, alcuni anni fa ha lanciato un vero e proprio allarme nei confronti della possibilità che accordi come quello del GATS (General Agreement on Trade and Services ovvero – Accordo Generale sui Servizi e il Commercio), con riflessi non solo nel settore finanziario ma anche in quello della sanità, delle professioni, dell’istruzione, dell’energia e dei servizi ambientali, potessero vanificare le idee condivise nel passato sulla tutela della salute.
I GATS mettono infatti fuori legge l’utilizzo di meccanismi come il finanziamento dei servizi attraverso il contributo progressivo, la copertura universale dei rischi, la responsabilità pubblica nella programmazione, nel finanziamento e nell’erogazione dei servizi, perché anti-competitivi e restrittivi nei confronti del commercio e quindi di ostacolo al libero mercato.

Quali dovrebbero essere, invece, le caratteristiche di una medicina sostenibile?
Innanzitutto, deve assicurare ai membri di una società un livello di assistenza sufficiente a garantire loro buone probabilità di completare il ciclo di vita a un livello dignitoso di capacità fisiche e mentali. Deve poi essere economicamente alla portata della società, cioè deve poter essere erogata e distribuita equamente senza sforzi eccessivi.
Per ottenere questi obiettivi, sono necessari cambiamenti profondi nel modo di intendere la medicina stessa e il concetto di salute, che deve passare da una prospettiva individuale a una collettiva. È inoltre imprescindibile agire sulle condizioni socio-economiche e di vita della collettività. In altre parole, si tratta di far entrare nel patrimonio della medicina, per farne un terreno di azione, alcune categorie che storicamente hanno contribuito a definire gli ambiti della stessa: la categoria filosofica dell’unità e della totalità del corpo e della sua psiche, la categoria di Ambiente e la categoria Politica di Salute pubblica, che supera il concetto individualistico della cura ad personam per rivolgersi ad una difesa della salute applicata ad societatem.

Attraverso quali strategie?
Bisogna, a nostro avviso, rivedere quelle strategie prevalentemente verticali che mirano all’ottenimento rapido di risultati quantitativamente rilevanti e impediscono l’identificazione dei processi che generano patologia e disagio, non agendo sulle condizioni sociali ed economiche che determinano la malattia.
Occorre quindi promuovere l’istruzione, l‘attenzione alla salvaguardia ambientale, occorrono politiche virtuose per l’energia, lo sviluppo, la produzione di tecnologie volte all’aumento della produttività delle risorse e la valorizzazione delle risorse locali.

E quali sono le proposte pratiche avanzate dalla FNOMCeO?
Il progetto “Salute globale e cooperazione internazionale” si articola, in questa prima fase, in quattro punti. Innanzitutto, va affrontata la carenza di personale sanitario a livello globale. Per questo, abbiamo dei programmi di formazione e ricalibrazione rivolti ai medici e agli operatori sanitari dei paesi in via di sviluppo, i quali potranno seguire stage nei dipartimenti e negli Ospedali pubblici italiani, ed essere ospitati nelle strutture dell’Onaosi.
Vanno poi censite e coordinate le nostre risorse di medici volontari. A tal fine, pensiamo di costituire un elenco, una sorta di “albo” dei medici pensionati disponibili a operare come volontari, per periodi determinati, presso strutture dei paesi in via di sviluppo. Il coordinamento di tutte le organizzazioni di volontariato dirette da medici, che oggi agiscono indipendentemente le une dalle altre, potrebbe essere affidato, a livello nazionale, alla FNOMCeO.
Infine, resta da risolvere – con iniziative a livello regionale – il problema del riconoscimento giuridico ed economico dei distacchi degli operatori sanitari che decidono di prestare la loro opera volontaria all’estero.

Un’ultima domanda: la globalizzazione, crisi o opportunità?

Almeno nel suo aspetto sanitario, la globalizzazione costituisce senz’altro un’opportunità per poter garantire a tutti l’equità delle cure, basandosi sulla forza morale del diritto alla Salute, a volte politicamente disatteso.
Le forze che oggi minacciano l’uomo e l’ambiente in cui vive sono sempre più globali, potenti, sofisticate e coordinate. Esiste il bisogno urgente di una visione del concetto di sviluppo, nuova e alternativa, uno sviluppo che sia promotore di ricchezza equamente distribuita per promuovere la salute e il benessere dell’uomo nell’ambiente che lo circonda.
E i medici non devono e non possono rimanere “esperti muti” nei confronti delle difficoltà che si frappongono all’attuazione di queste garanzie. Al contrario, la comunità medica – ma anche tutti i produttori di cultura, formazione, ricerca – hanno il dovere etico e morale di affrontare in modo diffuso e sistematico i temi dell’equità, dell’accesso alle cure, della difesa della dignità e della vita degli uomini.
Sul piano etico, infatti, la tutela della Salute globale non solo permette il mantenimento delle capacità vitali dei singoli, ma crea anche le condizioni essenziali per vivere liberi.

Autore: Redazione FNOMCeO

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