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Cassazione Penale Sentenza n. 27420/18 – Sospensione esercizio professione medica – Omicidio colposo

Cassazione Penale Sentenza n. 27420/18 –  Sospensione esercizio professione medica – Omicidio colposo –  La  Corte di Cassazione ha affermato che è legittima la sospensione dall’esercizio della professione disposta nei confronti di un medico al qual si rimprovera, non solo di aver proseguito la terapia omeopatica all’esito della prima e della seconda visita, ma anche di aver sottostimato i sintomi già manifestatisi nel corso dell’intervallo temporale trascorso dall’inizio della terapia e sino alla prima visita. Pertanto la valutazione dell’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione, astrattamente ipotizzabile, è stata quindi correttamente agganciata alla manifestata pervicacia dell’indagato nell’applicare la terapia già rivelatasi inidonea e, quindi, alla sua erronea convinzione teorica di una superiorità della disciplina omeopatica rispetto alla medicina tradizionale, più che alla prudenza, negligenza o imperizia manifestate nella pratica, comunque certamente apprezzabile sul diverso piano della colpa.

FATTO E DIRITTO: Con ordinanza pronunciata a norma dell’art. 309 codice di rito, il Tribunale di Ancona, sezione del riesame, ha rigettato il ricorso avverso l’ordinanza del GIP di Ancona adottata a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., con la quale era stata confermata, nei confronti di M.M., soggetto esercente professione sanitaria, la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio della professione medica, in relazione alla imputazione provvisoria formulata a suo carico ai sensi degli artt. 589 e 590 sexies cod. pen., posto in essere ai danni del piccolo B.F., di anni sei. 2. In particolare, secondo l’imputazione provvisoria contenuta nella ordinanza del GIP del Tribunale di Ancona, al M. si è contestato, nella qualità di medico curante del minore, interpellato dai genitori sin dalla insorgenza della patologia a far data dal 07/05/2017, a fronte di una ingravescenza del quadro clinico di otite media acuta (dolore prima ad un orecchio, quindi anche all’altro, rialzi febbrili sino a 39.5 C, cefalea, irritabilità, dimagrimento, apatia), di avere sottostimato, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, tale quadro clinico, tipico di una infezione locale di elevata gravità, prescrivendo una terapia omeopatica telefonicamente e anche a seguito della visita ambulatoriale in data (OMISSIS), nonostante la recrudescenza dei sintomi già al (OMISSIS) e la presenza di cefalea e irritabilità da cui era evincibile l’evoluzione ascessuale; nonchè di avere omesso di predisporre approfondimenti diagnostici e prescrivere le necessarie terapie antibiotiche, così determinando il decesso del paziente avvenuto il successivo (OMISSIS) a causa di ascesso cerebrale. Avverso l’ordinanza, ha proposto ricorso il M., con proprio difensore. Il ricorso va rigettato Il Tribunale, premesso che la parte si era limitata a contestare il quadro indiziario, ricostruito sulla scorta di una consulenza collegiale medico legale disposta dal P.M., senza opporre un contrastante parere tecnico, ma semplicemente contestando alcune delle valutazioni espresse dagli esperti, ha ritenuto sussistente un quadro gravemente indiziante la responsabilità dell’indagato. Era stato, infatti, dimostrato come il decesso del piccolo paziente fosse avvenuto a causa di una complicanza endocranica da otite e, in particolare, della cessazione irreversibile delle funzioni encefaliche dovuta ad un ascesso cerebrale da otite media acuta, il focolaio di otite avendo determinato l’insorgenza dell’ascesso cerebrale con associata meningite. In base alle dichiarazioni dei genitori del bambino, in uno all’esame dei tabulati telefonici, era stato pure accertato che la terapia omeopatica prescritta dall’indagato era stata data a distanza (la prima visita risalendo al (OMISSIS)) e che il M. aveva sottostimato la gravità della patologia, avendo omesso già in quella sede di adottare la terapia antibiotica a fronte di intelligibili sintomi che avrebbero imposto accertamenti di tipo diagnostico e il sospetto del coinvolgimento dell’apparato nervoso, stante la evidente fallacia della terapia impostata sin dal 07/05/2017. Quanto al quadro cautelare, quel giudice ha condiviso le valutazioni operate dal GIP, evidenziando il particolare modus operandi del M., il quale aveva fatto ricorso a diagnosi telefoniche senza visitare il paziente nonostante l’alternanza dei risultati e degli effetti della cura omeopatica e non aveva prescritto la terapia antibiotica neppure dopo la visita, in base ad una scelta ribadita come unica possibile per asserita inefficacia dell’antibiotico, proseguendola anche dopo la visita del 23 maggio successivo, secondo uno schema che aveva denunciato, per il Tribunale, la granitica convinzione del M. della superiorità della terapia omeopatica praticata, rispetto a quella tradizionale, in violazione delle stesse indicazioni dei protocolli medici che impongono il passaggio alla terapia tradizionale, trascorsi cinque giorni dalla constatazione della inefficacia di quella omeopatica impostata. In linea generale, deve infatti ribadirsi quanto in passato questa Corte ha affermato in tema di misure interdittive per omicidio colposo per colpa professionale: mentre per la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sono sufficienti gli elementi probatori che implicano una ragionevole probabilità circa la ricorrenza dei presupposti del reato ipotizzato e della sua riferibilità alla condotta del soggetto indagato e ciò indipendentemente dal grado della colpa, che attiene al merito, e dalla cooperazione di altre persone nello stesso reato; ai fini cautelari, anche in tema di colpa professionale, è possibile l’applicazione di una misura cautelare per le esigenze previste dall’art. 274 c.p.p., lett. c) (pericolo di commissione di reati della stessa specie in considerazione delle circostanze del fatto e della personalità dell’imputato) poichè anche in materia di colpa professionale è possibile una prognosi di reiterazione dei comportamenti in relazione alle caratteristiche della struttura in cui il professionista opera e al comportamento da questi tenuto nel caso oggetto di giudizio e l’offesa temuta riguarda gli stessi interessi collettivi già colpiti (cfr. sez. 4 n. 1228 del 03/11/1994, Cascio, Rv. 199737; in senso sostanzialmente conforme, cfr. anche sez. 5 n. 491 del 31/05/1991, Rv. 187734). Nel caso all’esame, il Tribunale ha ricondotto il pericolo di reiterazione non già al pregresso esercizio della professione medica, bensì alla mancanza di un vaglio critico, manifestata dall’indagato con il comportamento tenuto dopo il fatto. Quel giudice ha, inoltre, debitamente motivato, alla luce delle considerazioni sopra richiamate, l’attualità e concretezza del ritenuto pericolo di reiterazione, a tal fine valorizzando la condotta tenuta nello specifico caso esaminato, ma anche il comportamento del M. successivo al fatto. La valutazione dell’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione, astrattamente ipotizzabile, è stata quindi correttamente agganciata alla manifestata pervicacia dell’indagato nell’applicare la terapia già rivelatasi inidonea e, quindi, alla sua erronea convinzione teorica di una superiorità della disciplina omeopatica rispetto alla medicina tradizionale, più che alla prudenza, negligenza o imperizia manifestate nella pratica, comunque certamente apprezzabile sul diverso piano della colpa. La Corte ha rigettato il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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