Cassazione Penale Sentenza n. 7659/18 – Responsabilità professionale medica

Cassazione Penale Sentenza n. 7659/18 – Responsabilità professionale medica  –  La Corte di Cassazione ha affermato che nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale. Sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa.

FATTO E DIRITTO: S. G. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale si è dichiarato non doversi procedere per prescrizione, riducendo il quantum del risarcimento del danno derivante dal reato di cui all’art. 589 cod pen. perché, in qualità di medico chirurgo, cagionava, per colpa, il decesso di Z. G., persona affetta da adenocarcinoma rettale infiltrante, convincendo il paziente a non sottoporsi ad intervento chirurgico e a seguire le terapie da lui prescritte, a base di medicinali di tipo ayurvedico e di diete vegetariane, senza rivolgersi ad altri medici, che seguivano le terapie tradizionali, e, in definitiva, persuadendo il paziente che il cancro al retto sarebbe guarito, in assenza di interventi chirurgici e di terapie di tipo chennioterapico, assumendo dei medicamenti naturali e seguendo una dieta vegetariana, così favorendo un decesso anticipato del paziente. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché Z. dichiarò, sia nella videointervista effettuata sia in sede di consultazioni con innumerevoli sanitari, ivi compresi quelli dell’ospedale di Pieve di Cadore, i quali trascrissero le sue dichiarazioni, di rifiutare ogni cura tradizionale e di volersi curare soltanto con la medicina ayurvedica, specificando di essere sempre stato convinto di ciò, ancor prima di conoscere il dr. S.. Ciò dimostra che il paziente prestò il proprio consenso informato alle cure ayurvediche da quest’ultimo proposte e smentisce altresì le testimonianze di parenti e amici di Z., anche perché la teste G. ha dichiarato ai Carabinieri che la persona offesa le aveva confidato di non volersi curare con la medicina ufficiale..Secondo la giurisprudenza assolutamente dominante un comportamento umano è dunque causa di un evento solo se, senza di esso, l’evento non si sarebbe verificato (formula positiva); non lo è se, anche in mancanza di tale comportamento, l’evento si sarebbe verificato egualmente (formula negativa). Da questo concetto nasce la nozione di giudizio controfattuale ( “contro i fatti”), che è l’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione (la condotta antigiuridica tenuta dell’imputato), ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza: se dovesse giungersi a conclusioni positive,risulterebbe, infatti, evidente che la condotta dell’imputato non costituisce causa dell’evento. Il giudizio controfattuale costituisce, pertanto, il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica. Naturalmente, esso, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, richiede preliminarmente l’accertamento di ciò che è effettivamente accaduto e cioè la formulazione del c.d. giudizio esplicativo (Cass., Sez. 4, n. 23339 del 31-1-2013, Rv. 256941). Per effettuare il giudizio contrattuale, è quindi necessario ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all’evento. In tema di responsabilità medica, è dunque indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o posticipato (Cass., Sez. 4, n. 43459 del 4- 10-2012, Rv. 255008). L’importanza della ricostruzione degli anelli determinanti della sequenza eziologica è stata sottolineata, in giurisprudenza, laddove si è affermato che, al fine di stabilire se sussista o meno il nesso di condizionamento tra la condotta del medico e l’evento lesivo, non si può prescindere dall’individuazione di tutti gli elementi rilevanti in ordine alla “causa” dell’evento stesso, giacché solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici la scaturigine e il decorso della malattia è possibile analizzare la condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale, avvalendosi delle leggi scientifiche e/o delle massime di esperienza che si attaglino al caso concreto. Il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica-, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è però consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosìcchè, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto grado di credibilità razionale”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del giudizio (Sez. U.,10.7.2002, Franzese).Ne deriva che nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale. Sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa).

(Prima pubblicazione 20-02-2018)

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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