Si tratta di una iniziativa di formazione alla comunicazione in ambito sanitario che intende avvicinare il mondo delle Associazioni e Società Scientifiche a quello dell’Università: 96 ore di lezione per insegnare ai medici a parlare in un contesto complesso, come quello ginecologico, affrontando tematiche urgenti, come il “sesso sicuro” e le infezioni a trasmissione sessuale: una emergenza in termini di salute pubblica se si pensa che – come riporta il Sole 24 ore- una parte rilevante delle malattie sessualmente trasmissibili, delle gravidanze indesiderate, delle interruzioni volontarie di gravidanza, interessano le giovanissime, spesso minorenni. Oltre 95mila nuovi casi di infezioni a trasmissione sessuale negli ultimi dieci anni, di cui il 20% nei giovani (tra i 15 e i 24 anni) che si affacciano alla sessualità in modo spesso disinformato. Infezioni come l’herpes genitale e il papillomavirus umano (HPV) sono in forte aumento.
In questo contesto un ruolo decisivo è svolto da i nuovi canali di informazione e di interazione comunicativa: ma come è possibile coniugare la pratica clinica con le ambiguità di strumenti ancora poco integrati nella relazione di cura e nelle dinamiche del rapporto medico paziente, soprattutto a partire dalle regole deontologiche? Secondo Elsa Viora, Presidente AOGOI la comunicazione è diventata parte essenziale del lavoro del medico che deve essere formato anche in questo campo, al di là del percorso accademico. È importante esplorare anche la Rete e la nuova sfera dei Social dove il medico può trovarsi ad interagire con i pazienti, soprattutto i più giovani.
La così detta “web reputation” diventa quindi un tema cruciale della riflessione sulla comunicazione. L’uso sempre più diffuso di diverse piattaforme – da blog a siti più sofisticati- dove il cittadino reperisce informazioni da condividere può incidere in modo molto significativo sulle conoscenze – e presupposizioni- che orientano la premessa comunicativa del paziente. vedi
I dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano esplicitano però una discreta disposizione digitale anche dei medici:
- 83% fa uso di mail
- 70% usa sms
- 53% usa WhatsApp
- 12% usa il social network
- 7% usa skype
Tuttavia manca -nella prospettiva d’uso di questi strumenti- un approccio metodologico forte: gli utenti dei social media sono spesso vittime del confirmation bias, cioè quel meccanismo secondo cui è ritenuto credibile un “post” che conferma una convinzione consolidata. vedi
Walter Quattrociocchi dell’Imt Alti Studi di Lucca – autore di un articolo pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Science – vedi) spiega in modo chiaro una delle disfunzioni più pericolose dell’utente non formato: sulla rete la prova scientifica- di evidence based medicine- non ha grande impatto comunicativo ed anzi tende a rinforzare false credenze e posizioni antiscientifiche. D’altra parte studi specifici sul rapporto tra istituzione sanitaria e informazione pubblica evidenziano una forte carenza di conoscenza teorica e d’uso dei nuovi strumenti di comunicazione (vedi; vedi)
Ma alla base dell’arretratezza culturale in tema di competenza comunicativa c’è senza dubbio una ulteriore osservazione di metodo: le istituzioni sanitarie sembrano non aver ancora sistematizzato un modello di informazione efficace e rimangono imbrigliate in un ritmo comunicativo a contrappunto, tra argomentazione, persuasione e prescrizione. Il percorso è ancora lungo. vedi
(Fonte: torinomedica.com)
Autore: Redazione FNOMCeO