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Comunicare la salute: Leo Vinci e l’innovazione crossmediale

Con oltre trent’anni di lavoro in comunicazione in ambito salute sulle spalle, Leo Vinci è a buon titolo considerato uno dei più profondi osservatori del settore. Attualmente country manager di Publicis Healthware, la più importante agenzia mondiale di comunicazione in ambito salute, Vinci, che ha legato a lungo il suo nome a Saatchi and Saatchi, ha sviluppato e gestito progetti internazionali di comunicazione e di pubblicità sanitaria, con una sempre riconosciuta tendenza all’innovazione dei linguaggi. Per questo l’abbiamo intervistato, proseguendo le riflessioni sulla “filiera comunicativa” iniziate a Reggio Calabria, nell’intento di approfondire soprattutto conseguenze e opportunità del forte ingresso di internet e della comunicazione digitalizzata nella vita di medici e pazienti.

Vinci, partiamo dallo stato della comunicazione della salute sui media italiani: quale è il polso della situazione dall’osservatorio di un esperto in comunicazione e pubblicità?
Direi con una frase ad effetto, che “la salute tira tantissimo”. Il destinatario finale della comunicazione e dei messaggi esprime una richiesta di informazione sulla salute enorme. Stiamo parlando di tutti i target, sia di quello laico, cioè il pubblico, che di quello medico-professionale. Questo è un dato che riguarda l’Italia, l’Europa e in misura ancora maggiore concerne gli StatiUniti dove una legge differente dalla nostra fa si che la pubblicità farmaceutica sia libera di esprimersi anche nei megascreen del centro di New York.

Nel concreto cosa significa dire che la comunicazione “tira tantissimo”?
Significa che ci sono forti richieste e che si impegnano importanti budget per soddisfare a queste richieste. E che tutta l’industria della comunicazione, fatta di ideazione, creatività, strategia, investimenti, marketing e analisi di ricadute, è concentrata a pianificare risposte. Con lo sviluppo conseguente di professionalità. Insomma dire che la salute tira significa identificare un mondo che si muove…

E se proviamo a concentrarci sul web, che tendenze e quali dati abbiamo?
Direi che – dando credito alla ricerche che abbiamo su internet – il target che esprime la maggior richiesta di informazioni è proprio quello medico. Nell’ottica del professionista c’è un accesso al web sempre crescente per la ricerca di informazioni sulla salute. Il nostro ultimo dato dice che l’82% dei medici italiani dedica da 2 a 3 ore alla settimana proprio per la ricerca di informazioni professionali e scientifiche.

Sempre più alto è quindi il numero di medici in cerca di informazioni: cosa trovano?
Di tutto. Grande qualità, progetti seri, ma anche cose raffazzonate. Grandi portali, contenuti autorevoli, il progetto Wikipedia, siti dilettanteschi…..

E i pazienti, invece, come si comportano alle prese con le proprie malattie e mille risorse internet?
Molti pazienti oggi vanno “prima” su web e poi dal medico. Non a caso nella nostra pratica comunicativa abbiamo registrato diverse tipologie attuali di medici: quelli che si sono attrezzati per utilizzare il web, per trasformarlo in risorsa; quelli che l’hanno usato per prevenire la domanda del paziente; da ultimi quelli che sono rimasti arroccati a distanza, diffidenti e ostili.

Quest’ultimo atteggiamento ha ancora senso?
Non sono medico, ma credo che questo oggi non valga più: l’atteggiamento difensivo non può più essere accettato in questa come in altre categorie: chi si arrocca rimane inevitabilmente indietro dalla sua stessa professione. Anche perché nel frattempo gli aggiornamenti scientifici si trovano sempre più quotidianamente su web…

Ha toccato il punto degli aggiornamenti. Lei ha accennato proprio al fatto che su web si trova di tutto, grande qualità e informazioni dilettantesche, per questo da più parti si parla di criteri di qualità da creare e applicare. Cosa ne pensa?
Proprio in qualità di produttore di comunicazione di salute su web sono assolutamente d’accordo. Anche l’Hon Code dell’Health on the net foundation è uno strumento utile, ma prettamente indicativo. Bisognerebbe forse avere marchi di qualità più autorevoli.

Stiamo parlando di qualità dell’informazione. Prendiamo il caso H1N1: sulla suina è accaduto di tutto…
Sull’H1N1 abbiamo assistito a una circolazione folle di informazioni contrastanti, ma credo che queste situazioni si migliorino solo lavorando sulla formazione della categoria giornalistica. Personalmente sono certo che se un giornalista scrive male oppure offre pessime informazioni, il lettore non lo segue. Diciamo che credo fortemente nell’autoregolamentazione del mercato.

Sta implicitamente andando verso le conclusioni che Bianco e Del Boca hanno condiviso durante il convegno di Reggio: l’importanza della formazione sia per medici che per giornalisti?
Si. Anche perché il rischio della cattiva informazione e della disinformazione è enorme. Io, comunque, sono sempre a favore dell’ampia circolazione di notizie.

Che fare quindi?
Ripeto: grande spinta per una formazione autorevole e poi realizzazione di operazioni che guardano avanti. Ad esempio: perché crea il premio per il miglior medico o il miglior ospedale? Intendo proprio un premio dato insieme da istituzioni e media uniti…

Parlando di ospedali, provo a rilanciarle la palla: tra istituzioni, aziende farmaceutiche e strutture del Servizio sanitario nazionale, chi è più sensibile alla comunicazione web?
Sicuramente le Istituzioni e gli ospedali. Le aziende farmaceutiche hanno più mezzi di questi altri due soggetti, ma sono state abituate ad investire con ritorni a brevissimo termine e questo le blocca in una progettazione di respiro.

Le istituzioni potrebbero essere dunque il motore che spinge tutto il sistema?
È essenziale che sia così. Per una corretta comunicazione della salute su web servirebbe una grande regia istituzionale, capace di far sedere al tavolo e lavorare insieme soggetti diversi: le big pharma, le società scientifiche, i centri d’eccellenza, l’università. Se ci fosse un progetto per la comunicazione della salute in Italia, un progetto capace di essere modello di riferimento, probabilmente tutto il sistema ne sarebbe investito con ricadute positive per tutto il Paese.

Parliamo anche di media. Quasi tutti gli editori stanno andando su web: lasciare la carta è una buona idea?
Dal mio punto di vista è un grosso errore. Se guardo ai medici vedo che non hanno assolutamente lasciato la lettura, anzi: hanno sommato altri canali di informazione a quelli che avevano già. Semmai sono gli investitori che hanno lasciato la carta stampata, ma questo credo sia più una miopia passeggera.

E allora?
Allora mai abbandonare la carta. Semmai ragionare su quel nuovo concetto di comunicazione e messaggio che è la crossmedialità, capacità di unificare coerentemente i contenuti nella varietà dei sistemi di fruizione…

Crossmedialità: è qui la novità? E noi – sia come italiani, che come operatori del settore salute – siamo preparati?
Qui c’è la novità, certo. E noi siamo un poco indietro rispetto a un paese trainante come gli Usa, perché abbiamo mezzi economici e di sistema inferiori. Oggi chiunque voglia concentrarsi sulla comunicazione in ambio health deve partire da nuovi standard a cui sono abituati i cittadini e gli utenti, occorre partire dall’ sms inviato dall’ambulatorio o dalla struttura sanitaria, un messaggio che viene ricevuto dal paziente per ricordarsi la pillola o l’analisi: questo è il nuovo approccio. A questo seguono i contenuti per il cittadino progettati sulla fruizione e non sulla produzione. Implicitamente tutto questo ci porta a ragionare di contenuti fruiti in mobilità e di messaggi di informazione e formazione pensati per un utente attivo e interattivo. Insomma è l’universo della crossmedialità mobile quello che ci attende. Vale la pena che tutti, medici e giornalisti, istituzioni e professioni, ne tengano conto per essere al passo con quello che cittadini e professionisti chiedono.

Autore: Redazione FNOMCeO

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