La Suprema Corte ha affermato che l’esecutività della decisione della CCEPS non è sospesa dalla proposizione del ricorso per Cassazione. Secondo la giurisprudenza di legittimità in tema di procedimento disciplinare a carico degli esercenti le professioni sanitarie, il termine quinquennale di prescrizione, cui è soggetta l’azione disciplinare, è interrotto con effetto istantaneo dal promovimento dell’azione disciplinare in sede amministrativa, mentre durante lo svolgimento della fase giurisdizionale davanti alla Commissione Centrale si produce, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 2, l’effetto permanente dell’interruzione (Cass. n. 23131/2019).
Inoltre, a norma del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51 la previsione di un termine quinquennale di prescrizione, mentre delimita nel tempo l’inizio dell’azione disciplinare, vale anche ad assicurare il rispetto dell’esigenza che il tempo dell’applicazione della sanzione non sia protratto in modo indefinito, ciò in quanto al procedimento amministrativo di applicazione della sanzione è da ritenere applicabile non già la regola dell’effetto interruttivo permanente della prescrizione sancito dall’art. 2945 c.c., comma 2, bensì quella dell’interruzione ad effetto istantaneo (Cass. S.U. n. 4909/1997). Ne consegue che in relazione alla fase amministrativa del procedimento disciplinare per gli esercenti la professione sanitaria, solo il decorso del termine quinquennale di prescrizione, senza che sia intervenuta la relativa decisione, comporta l’estinzione della potestà sanzionatoria.
Si ribadisce che il provvedimento irrogativo di una sanzione disciplinare, emesso dal consiglio provinciale dell’ordine dei medici, è un atto amministrativo e non giurisdizionale (Cass. n. 1763/2012), in quanto la giurisdizione interviene in un secondo momento con l’esame dell’atto che ha posto termine alla fase davanti all’ordine professionale locale, discendendo da ciò che la violazione delle norme che regolano la fase procedimentale non comporta una nullità processuale rilevabile in ogni stato e grado anche d’ufficio ma una illegittimità amministrativa che può essere fatta valere solo dal soggetto interessato mediante impugnazione davanti alla Commissione centrale (Cass. n. 835/2007; Cass. n. 10389/2001; Cass. Sez. U, n. 15404/2003). Dalla natura amministrativa dell’atto assunto dal CDO deriva altresì che sussista anche la possibilità di esercitare il potere di annullamento in autotutela, soprattutto laddove, come nel caso in esame, si ritenga che la prima manifestazione di attività provvedimentale sia affetta da vizi formali. Ne consegue che, allorché l’autorità amministrativa titolare della potestà disciplinare ritenga di ritornare sui propri passi, e di disporre in autotutela la revoca ovvero l’annullamento della prima decisione, non è in alcun modo preclusa la possibilità di rieditare l’esercizio del potere disciplinare, e ciò senza che tale seconda deliberazione possa essere reputata affetta dalla violazione del principio del ne bis in idem, posto che l’elisione dell’efficacia del primo provvedimento scongiura in radice il pericolo che il soggetto interessato dal procedimento possa venire a subire una duplice sanzione per i medesimi fatti.
Pertanto, in relazione ai provvedimenti disciplinari adottati nei confronti degli esercenti le professioni sanitarie, la proposizione del ricorso alla Commissione Centrale ha effetto sospensivo degli stessi quando sia proposto avverso i provvedimenti di cancellazione dall’albo o avverso i provvedimenti disciplinari (ad eccezione di quelli previsti dal D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, artt. 42 e 43); qualora, invece sia proposto ricorso per cassazione contro la decisione della Commissione centrale, l’esecutività della decisione della stessa non è di per sé sospesa, né può essere sospesa in applicazione dell’art. 373 c.p.c..