Danno da nascita indesiderata

Danno da nascita indesiderata – La III sezione civile della Corte di Cassazione rimette il ricorso avente ad oggetto la materia del “danno da nascita indesiderata” alle Sezioni Unite al fine di chiarire i contrasti giurisprudenziali relativi alla fattispecie del risarcimento dei danni (Cassazione Civile Ordinanza Interlocutoria n. 3569/15)

FATTO: Una coppia di genitori convennero in giudizio il prof. —– e il Dott. —- (nelle rispettive qualità di primario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Ospedale (omissis) e di direttore del Laboratorio di Analisi dello stesso presidio) nonché l’Azienda U.S.L. n. — di — per ottenere il risarcimento dei danni conseguiti alla nascita della figlia, affetta da sindrome di Down, assumendo che la —- era stata avviata al parto, senza che fossero stati disposti approfondimenti, benché i risultati degli esami ematochimici effettuati alla sedicesima settimana avessero fornito valori non rassicuranti.

DIRITTO: Con l’ordinanza in parola, la III sezione civile della Corte di Cassazione rimette gli atti di un procedimento avente ad oggetto la materia del “danno da nascita indesiderata” al primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite. Al riguardo, si registrano due orientamenti contrastanti (articolati al loro interno in posizioni ulteriormente differenziate) che, pur muovendo entrambi dalla premessa pacifica e tralaticia secondo cui, trattandosi di fatti costitutivi, spetta alla donna l’onere di dimostrare che l’accertamento dell’esistenza di anomalie o malformazioni l’avrebbe indotta ad interrompere la gravidanza e, altresì, che la conoscenza di tali elementi avrebbe generato nella gestante uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica (con ciò rendendosi praticabile il ricorso all’interruzione della gravidanza oltre il novantesimo giorno), divergono allorquando si tratta di individuare il tipo e, più specificamente, il contenuto della prova richiesta alla madre; un primo e più risalente orientamento (quello richiamato dai ricorrenti) ritiene "corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni del feto" (Cass. n. 6735/2002, ribadita da Cass. n. 14488/2004 e più recentemente da Cass. n. 13/2010 e da Cass. n. 15386/2011): si è affermato, in particolare, che "è sufficiente che la donna alleghi che si sarebbe avvalsa di quella facoltà se fosse stata informata della grave malformazione del feto, essendo in ciò implicita la ricorrenza delle condizioni di legge per farvi ricorso", compresa quella del "pericolo per la salute fisica o psichica derivante dal trauma connesso all’acquisizione della notizia", precisandosi peraltro che "l’esigenza di prova al riguardo sorge solo quando il fatto sia contestato dalla controparte, nel qual caso si deve stabilire in base al criterio (integrabile da dati di comune esperienza evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali) del "più probabile che non" e con valutazione correlata all’epoca della gravidanza se, a seguito dell’informazione che il 25/2/2015 (Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza interlocutoria n. 3569/15; depositata il 23 febbraio) il medico omise di dare per fatto ad esso imputabile, sarebbe insorto uno stato depressivo suscettibile di essere qualificato come grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna" (Cass. n. 22837/2010); tale orientamento è stato recentemente sottoposto a critica da alcune pronunce di questa stessa Sezione, a partire da Cass. n.16754/2012, che ha evidenziato come in mancanza di una preventiva "espressa ed inequivoca dichiarazione della volontà di interrompere la gravidanza in caso di malattia genetica"la mera richiesta di un accertamento diagnostico costituisca un "indizio isolato… del fatto da provare (l’interruzione di gravidanza)", dal quale "il giudice di merito è chiamato a desumere, caso per caso, senza il ricorso a generalizzazioni di tipo statistico", se "tale presunzione semplice possa essere sufficiente a provare quel fatto", non potendo pertanto riconoscersi una "automatica significazione richiesta di diagnosi = interruzione di gravidanza in caso di diagnosi di malformazioni"; con la conseguenza che, "in mancanza di qualsivoglia elemento che colori processualmente la presunzione de qua, il principio di vicinanza alla prova e quello della estrema difficoltà (ai confini con la materiale impossibilità) di fornire la prova negativa di un fatto induce a ritenere che sia onere di parte attrice integrare il contenuto di quella presunzione con elementi ulteriori (di qualsiasi genere) da sottoporre all’esame del giudice per una valutazione finale circa la corrispondenza della presunzione stessa all’asserto illustrato in citazione".

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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