Danno erariale a carico del medico dipendente ASL

Corte dei Conti Lombardia – Danno erariale a carico del medico dipendente ASL per prestazioni extralavorative occasionali retribuite presso terzi ed  espletate in assenza della prescritta autorizzazione. I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione verifica l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Questo generale regime autorizzatorio ha una evidente e condivisibile ratio sia civilistica-lavoristica che pubblicistica: consentire al datore di valutare la compatibilità di tale attività extralavorativa con il corretto e puntuale espletamento, in modo terzo ed imparziale, della prestazione contrattualmente dovuta dal lavoratore alla P.A., in ossequio anche al principio costituzionale di tendenziale esclusività (98 cost.) e di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 cost.). Sentenza n. 54/15

FATTO: Con atto di citazione depositato il 28.10.2014, la Procura regionale citava in giudizio M. M., dipendente dell’azienda Ospedaliera “Ospedale di San Gerardo” di Monza all’epoca dei fatti di causa, esponendo che, con esposto 24.9.2013 prot.15213, il Commissario Straordinario dell’Azienda Ospedaliera cennata aveva segnalato alla Procura Regionale di questa Corte un possibile danno erariale arrecato dalla dipendente in epigrafe, per aver svolto, senza l’autorizzazione prescritta dall’art.53, co. 7, d.lgs. n. 165 del 2001, attività retribuita presso terzi dal 2003 al 2007. Pertanto  la fattispecie al vaglio della Sezione, già oggetto di sentenze 25 novembre 2014 n. 216 e 30 dicembre 2014 n. 233 di questa Corte, attiene alla pretesa risarcitoria avanzata dalla Procura Regionale nei confronti di una dipendente pubblica che, nell’arco temporale 2003-2007, ha svolto attività retribuita presso terzi senza l’autorizzazione prescritta dall’art. 53, co. 7, d.lgs. n. 165 del 2001.

DIRITTO: La condotta della M. si pone in evidente contrasto con l’art. 53, co. 7, d.lgs. n. 165 del 2001 (applicabile al personale sanitario ex art. 3-bis, co. 14, d.lgs. n. 502 del 1992) attuativo dell’art. 98 cost. e del dovere di esclusività ivi sancito per i pubblici dipendenti. Giova premettere, sul piano sistematico, che, come già rimarcato in sentenza n. 216 del 2014 della Sezione, il rapporto di lavoro con il datore pubblico è storicamente caratterizzato, a differenza di quello privato, dal c.d. regime delle incompatibilità, in base al quale al dipendente pubblico, nei limiti infraprecisati, è preclusa la possibilità di svolgere attività extralavorative. La ratio di tale divieto, che permane anche in un sistema “depubblicizzato” a rimarcare la peculiarità dell’impiego presso la p.a., va rinvenuta nel principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico (“I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione” art. 98 cost.), per preservare le energie del lavoratore e per tutelare il buon andamento della p.a., che risulterebbe turbato dall’espletamento da parte di propri dipendenti di attività imprenditoriali caratterizzate da un nesso tra lavoro, rischio e profitto. Tuttavia, nell’impiego pubblico il divieto di espletare incarichi extraistituzionali non è così assoluto. Difatti, il regime vigente, codificato dall’art. 53 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, pur individuando, al primo comma, situazioni di incompatibilità assoluta (sancite dagli artt. 60 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 per lo svolgimento di attività imprenditoriali, agricole, commerciali, libero-professionali, ed altri lavori pubblici o privati: su tale ipotesi da ultimo C. conti, sez. Sicilia, 24.7.2014 n. 927), il cui espletamento porta alla decadenza dall’impiego previa diffida, prevede anche, al comma 7 del cennato art. 53, attività occasionali espletabili dal dipendente pubblico previa autorizzazione datoriale ed anche attività “liberalizzate”, ovvero liberamente esercitabili senza previa autorizzazione, in quanto espressive di basilari libertà costituzionali (art. 53, co. 6, d.lgs. n. 165 cit.).        Nel caso in esame non si verte né nella prima ipotesi (attività assolutamente vietate ex art. 53, co. 1, d.lgs. n. 165), stante la saltuarietà e non professionalità dei lavori svolti dalla convenuta, né nella terza (attività liberalizzate ex art. 53, co. 6), non rientrando le attività svolte dalla convenuta nel numerus clasusus di quelle che non richiedono autorizzazione. Pertanto, nella specie, la condotta della M. rientra pacificamente nella seconda tipologia, ovvero tra quelle espletabili (ergo non vietate in assoluto) per la loro occasionalità e “non professionalità”, ma previa autorizzazione datoriale. Questo generale regime autorizzatorio, a cui sottostanno anche le categorie di pubblici dipendenti non privatizzati (magistrati, militari, polizia, diplomatici, prefetti etc.), ha una evidente e condivisibile ratio sia civilistica-lavoristica che pubblicistica: consentire al datore di valutare la compatibilità di tale attività extralavorativa con il corretto e puntuale espletamento, in modo terzo ed imparziale, della prestazione contrattualmente dovuta dal lavoratore alla P.A., in ossequio anche al principio costituzionale di tendenziale esclusività (98 cost.) e di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 cost.). L’inosservanza di tale basilare precetto sulla previa doverosa autorizzazione comporta dunque per tutti i dipendenti, compresi quelli in part-time, sia sanzioni disciplinari che la sanzione pecuniaria oggetto del contendere in questa sede. Recita infatti l’art. 53, co.7, d.lgs. n. 165 che “il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”. L’art. 53, co.7, d.lgs. n. 165 introduce dunque una sanzione amministrativa (tra l’altro rispondente ai doverosi canoni di riserva di legge, (tipicità, tassatività, offensività), rafforzativa di quella disciplinare ed avente una ragionevole ratio preventiva e dissuasiva. Pertanto, la Sezione ritiene di aderire all’univoco indirizzo secondo cui assume un rilievo dirimente l’avvenuto pagamento o meno delle prestazioni lavorative espletate dal pubblico dipendente, in assenza della prescritta autorizzazione, consentendo in quest’ultimo caso alla Amministrazione di appartenenza di agire direttamente nei confronti del proprio dipendente, avendo questi disatteso l’obbligo di esclusività del rapporto di pubblico impiego (in terminis cfr. T.A.R. Lombardia, Milano Sez. IV, 7 marzo 2013 n. 614; C. conti, Sez. Lombardia, 30 dicembre 2014 n. 233

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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