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Donne e leadership: cultura, azioni, rappresentanza

Le donne-medico italiane sapranno in breve tempo dare un senso ai dati di fatto, che indicano nella maggioranza femminile in sanità una tendenza evidente? E inoltre: questa presenza saprà tradursi anche in una leadership utile per il rinnovamento del Servizio Sanitario Nazionale e per un nuovo impulso di sistema nelle cure verso i pazienti/persone? Queste, in realtà, sono state le domande attorno a cui hanno ruotato gli interventi e le relazioni che nella giornata di venerdì 1 aprile hanno dato spessore al convegno Leadership in sanità: interpretazione al femminile, innovazioni, opportunità, proposto dall’Ordine dei medici di Firenze e dall’Osservatorio per la femminilizzazione della professione medica. Dopo le introduzioni di rito, le sessioni sono partite con l’intervento di Giovanna Vicarelli, acutissima nel mostrare le quattro fasi dell’ingresso delle donne italiane nel mondo della medicina, fasi che possono essere sommariamente suddivise in epoca liberale (dal 1867 al 1923, con un numero irrisorio di donne-medico), epoca fascista (1924-1943, con il numero leggermente in aumento, ma sempre distante anni luce dalla situazione di un Paese a noi vicino, come la Francia, in cui già la presenza femminile si assesta sul 18% della popolazione medica complessiva), prima epoca repubblicana (1945-1977, con la presenza di numeri importanti di donne-medico in ambito pediatrico), il periodo del welfare istituzionale (1978-2008) che registra nel 2004 un importante 60% di donne sul totale dei laureati in medicina.

I dati presentati dalla Vicarelli sono interessanti non solo per un flash storico, ma anche per il quadro offerto sulla valutazione della dirigenza al femminile, che poi era il vero tema del convegno di Firenze. E qui si è arrivati a scoprire che solo il 13% della dirigenza medica di strutture complesse è donna; percentuale che sale al 29% se ci si riferisce a strutture semplici; bassissimo, solo l’11%, la percentuale femminile di professori ordinari. Ma il dato, nudo e crudo, è da superare: come ha sottolineato Nerina Dirindin, docente a Torino (dopo esser stato assessore alla salute in Sardegna), “la questione femminile non sta nell’ampliamento numerico, ma nel valore culturale che la donna può importare nella professione. Riprendiamo allora il senso delle cose, riscoprendo la profondità dei valori propri del mondo delle donne, come la cultura della solidarietà, della cura, dello spirito di servizio”.

Temi che durante la sessione pomeridiana sono stati anche al centro dell’intervento – applauditissimo – di Barbara Mangiacavalli, segretaria nazionale dell’IPASVI, che ha raccontato dei differenti approcci che le donne-infermiere (la grande maggioranza della professione) sanno portare nella relazione con il malato e con i colleghi del team multidisciplinare.

Per una traduzione dal piano dei valori culturali a quello delle azioni, Luisa Fioretto, direttore del dipartimento oncologico dell’azienda sanitaria di Firenze, ha ricordato – nella sessione mattutina coordinata da Antonella Agnello e Gemma Brandi – che in un corpus di azioni di sostegno, in ottica comunque meritocratica, sarebbero da sostenere attività di networking, di mentoring, di coaching, di formazione specifica alla leadership e di sensibilizzazione verso le giovani generazioni di donne medico. Tutte azioni che rivelano, alla base, una serie di debolezze insite nella riflessione e nella motivazione della presenza apicale femminile, come hanno ricordato sia Annarita Frullini dell’OMCeO di Ancona (“troppo spesso le donne non sanno fare squadra”) che Valeria Messina dell’OMCeO di Genova (“abbiamo tanti segnali che le giovani dottoresse non sono interessate a queste tematiche”).

Nel pomeriggio, in una sessione coordinata da Rita Nonnis e Rosa Valanzano, Amedeo Bianco, ricordando l’importanza di verificare correttamente l’attuale vissuto e percepito delle più giovani donne medico, e suggerendo anche la problematica della carenza di donne in molte specialità terapeutiche (“se c’è carenza, ovviamente poi ci sarà anche scarsa presenza dirigenziale….”), ha sottolineato l’impossibilità di immaginare delle “quote rosa” in ambito ordinistico, “sia perché il nostro sistema è legificato, sia perché eviterei di pianificare con metodi sovietici una presenza che invece può e deve essere fortemente propositiva dalla base”. Il Presidente FNOM ha concluso, quindi, rilanciando la provocazione: “Facciamo tutti in modo che tante donne siano invogliate a proporsi come candidate nelle prossime elezioni ordinistiche, stimoliamole e creiamo occasioni per la loro presenza nelle liste”, questo può essere un primo importante passo per quel rinnovamento e per quella rappresentanza professionale che in diversi momenti erano stati sottolineati da Teresita Mazzei (che in tarda mattinata aveva proposto “vorremmo essere presenti nelle sedici commissioni della Federazione, per poter portare sempre il nostro contributo”) e Roberta Chersevani.

Il convegno sulla leadership al femminile, dopo la tavola rotonda di confronto tra le diverse professioni mediche, ha avuto il suo “coronamento” nella mattinata di sabato, quando durante il Consiglio nazionale della Federazione è stato presentato da Roberta Chersevani una breve relazione stilata dall’Osservatorio per la femminilizzazione della professione, nella quale si anticipa il Documento per la riorganizzazione del lavoro in sanità, i cui capitoli saranno: individuazione delle caratteristiche identitarie per genere e fasce di età; compiti degli attori: FNOMCeO, Enti e Istituzioni; incentivazione alla partecipazione delle donne medico alla vita ordinistica; individuazione dei riferimenti normativi giuridici; studio dei modelli e strumenti applicabili alle Unità Operative; addestramento/formazione alla leadership; collaborazione con altre professioni. Il documento presentato dal presidente OMCeO di Gorizia sarà terreno di lavoro nei prossimi mesi e sarà presentato presumibilmente all’appuntamento di La Maddalena, già ipotizzato per i primi giorni di ottobre. 

Autore: Redazione FNOMCeO

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