Gli Stati Generali della Fnomceo alla prova con i rapporti con le altre professioni

Articolo di Luca Benci, giurista, pubblicato su Quotidiano Sanità il 4 gennaio 2019.

La Fnomceo si prepara agli “Stati Generali” della professione medica con il dichiarato scopo di “cambiare passo” e di elaborare una vera e propria “Magna Carta” del medico.

Con l’espressione Stati Generali non credo che si voglia fare riferimento all’organismo di carattere consultivo pre-rivoluzione francese (non foss’altro perché espressione di un fallimento storico e di un sistema diseguale di voto), ma una generica espressione in uso nel mondo politico che sottintende a un consesso che preveda tutte le componenti della professione medica a riflettere sulla c.d. “Questione medica”. Si riscontra un precedente di questo appuntamento: la “Prima conferenza nazionale della professione medica” del giugno 2008 che venne definita, dall’allora presidente Amedeo Bianco, una sorta di Stati Generali. Ne ho ben memoria in quanto fui invitato a portare un contributo in una sessione dedicata ai rapporti tra le professioni che era coordinata da Luigi Arru, attuale assessore regionale della Regione Sardegna.

Per Stati Generali – pur non essendo stato chiarito fino in fondo – dovrebbe intendersi quindi un appuntamento congiunto tra istituzioni ordinistiche, rappresentanze scientifiche e sindacali della professione medica.

All’epoca, infatti, oltre alla Fnomceo, erano presenti tutte le maggiori società scientifiche e le sigle sindacali mediche.

La novità di questo appuntamento però ruota intorno a tesi precostituite per il dibattito denominate “100 tesi per discutere il medico del futuro” scritte da Ivan Cavicchi.

Il documento, decisamente corposo (oltre 300 pagine) è suddiviso in sei macro aree dove troviamo la summa di tutto quanto può interessare la riflessione della più antica delle professioni sanitarie.

I medici e i rapporti con le altre professioni

Questo articolo analizzerà solo le tesi relative ai rapporti con le altre professioni riservandomi  ulteriori contributi su altri temi.

All’interno della prima area, di deciso interesse e di stretta attualità, ritroviamo un paragrafo dedicato ai “rapporti conflittuali con le altre professioni”.

Nonostante si parli delle altre professioni al plurale – si suppone il riferimento alle professioni dei 22 profili, recentemente “ordinate” – la riflessione cade sul solo rapporto tra medici e infermieri.

Eppure il conflitto è ben più ampio – in quanto i rapporti sono più decisamente plurali, come ha recentemente sintetizzato il Presidente della Federazione nazionale TSRM PSTRP Alessandro Beux, evidenziando conflitti tra Tecnici di radiologia e Radiologi; i Dietisti con i Biologi nutrizionisti e gli stessi medici; i Fisioterapisti con i Fisiatri; gli Ortottisti con gli Oculisti; gli Igienisti Dentali con gli Odontoiatri; i Logopedisti con i Foniatri; l’ostetrica con il medico ginecologo. L’elenco potrebbe continuare. Sarebbe stata interessante, quindi, una elaborazione più esaustiva.

Sfruttiamo però i criteri di carattere generale che le tesi utilizzano.

In primo luogo si stigmatizza il task shifting intendendosi per tale “un’operazione normativa che dispone di autorità, quindi con una disposizione di legge, il trasferimento di certi compiti o competenze da un operatore di un certo tipo ad un operatore di un altro tipo. Per esempio dal medico all’infermiere.”

Al centro del dibattito ci sarebbe, quindi, un rischio del “trasferimento di competenze fatto d’imperio” che deve essere scongiurato con particolare riferimento, a quanto sembra di capire, alle “competenze avanzate” che erano state alla fonte del dibattito del  comma 566 della legge di Stabilità 2015.

Collegato alle 100 tesi vi è un’opera editoriale uscita nell’estate del 2018 sulla riforma complessiva della deontologia medica (sempre Ivan Cavicchi insieme all’Omceo di Trento, Riformare la deontologia medica, Dedalo edizioni) che prevede delle “eccezioni al ruolo” – e quindi delle deroghe – che possono verificarsi con il “vincolante consenso preventivo del medico”. In limitate e marginali situazioni si possono trasferire “funzioni e competenze” sotto la responsabilità del medico.

Proverò ad argomentare i motivi del mio dissenso in singoli punti.

Dalla dominanza medica a un equilibrio interprofessionale

Sono passati alcuni decenni dalla pubblicazione del volume di Eliot Freidson La dominanza medica in cui l’autore analizzava i meccanismi che hanno portato la professione medica a occupare, per motivi storici e di competenza, gran parte del lavoro professionale del mondo sanitario e che già da tempo è interessato a un riequilibrio in virtù dei processi di professionalizzazione di numerose – troppe! – professioni sanitarie. Questo riposizionamento ha in primo luogo una radice formativa e che sta portando a un “declino parziale” della dominanza medica (Tousijn Willem, Il sistema delle occupazioni sanitarie, Il Mulino, 2000, p. 11). La letteratura sociologica indicata, ci ha reso edotti da tempo, su cosa fosse la dominanza medica, gli spazi che occupava e i meccanismi messi in atto per rimanere “dominante”. Nelle organizzazioni sanitarie si usa dire che il vero potere sia quello della conoscenza. Nel momento in cui la conoscenza e il sapere professionale viene a essere patrimonio di professioni, un tempo ausiliarie, è evidente che si consolidi un movimento di trasferimento di competenze che avviene senza bisogno di particolari norme giuridiche. A titolo di esempio si pensi alla misurazione della pressione arteriosa, considerata “atto medico” fino alla metà degli anni settanta, successivamente trasferita anche infermieri e ostetriche e oggi nella cognizione di ogni cittadino o, come si usa dire, del quisque de populo. Ricordo il contenzioso giudiziario che contrappose fino alla metà degli anni novanta dello scorso secolo medici e farmacisti in occasione della comparsa degli apparecchi di automisurazione della pressione arteriosa nelle farmacie: ripeto contenzioso giudiziario sulle competenze!

Qualcuno forse ricorderà anche alcune normative regionali che parlavano di “medico prelevatore” intendendosi come tale il medico destinato ai prelievi venosi nei laboratori di analisi e nei punti prelievo.

Ecco allora che in primo luogo il trasferimento di competenze non è dovuto, come affermato nelle 100 tesi, per fatto normativo, ma per l’evoluzione formativa.

I rapporti conflittuali tra medici e professioni sanitarie

Seguendo l’elenco di Alessandro Beux ricordiamo e analizziamo alcune dei dissidi sulle competenze che si sono creati in questi anni.

La questione più rilevante è stata quella relativa alle competenze infermieristiche all’interno del sistema di emergenza sanitaria extra ospedaliera e che sono culminate nel procedimento disciplinare contro i medici dell’azienda sanitaria di Bologna e nella clamorosa radiazione dell’assessore Venturi. Il tutto risolto per via deontologica. Sul punto i rapporti professionali, si basavano, come vedremo, sul sistema “derogatorio”.

Sempre nel sistema dell’emergenza sono note le tensioni e le polemiche sul triage, sul triage avanzato e sul “See and Treat” con le prese di posizione degli Omceo di Bologna e di Roma.

Sul fronte dei Tecnici sanitari di radiologia medica sono stati celebrati due processi, proprio sulle competenze e sulla suddivisione del lavoro all’interno della radiologia. Sono ormai passati alla storia i processi sui casi di “Marlia” e “Barga” tutti in punta di legittimità. La contestazione era infatti sull’esercizio abusivo della professione, ex art. 348 codice penale. Le tensioni nell’area radiologica si sono rinfocolate con la pubblicazione delle Linee guida in radiologia e sugli Standard in Risonanza magnetica. In questo caso, con provvedimenti amministrativi – stigmatizzati da Cavicchi – sono stati fatti per impedire, non il task shifting o chissà quale epocale cambiamento, ma proprio la fotografia di quanto avviene quotidianamente nelle radiologie italiane da anni. Se applicati alla lettera, questi decreti comporterebbero la totale paralisi dei gabinetti radiologici.

Sul versante dei fisioterapisti riscontriamo una copiosa giurisprudenza – perlopiù di carattere amministrativistico – tutta operata per i rapporti tra fisiatri e fisioterapisti, con continue evidenziazioni tra la responsabilità per il “progetto” e la responsabilità per il “piano” riabilitativo. Anche in questo caso con una serie di provvedimenti amministrativi tesi a mantenere lo status quo e non certo a favore del cambiamento. Tanto è vero che il ricorrente è quasi sempre l’AIFI l’associazione rappresentativa dei fisioterapisti.

Parzialmente diversa la situazione nei laboratori di analisi dove si registra una tendenza che potremmo definire “notturna e festiva” al riconoscimento di fatto dell’autonomia dei tecnici sanitari di laboratorio biomedico con delibere che fanno i salti mortali per riconoscere la piena validità (ma solo in talune fasce orarie…) alla “validazione tecnica”. La necessità della “validazione clinica” di medici e biologi si riespande nei giorni feriali diurni affievolendosi nelle ore notturne e festive.

Sul fronte delle ostetriche avanzano con estrema lentezza i programmi sulla gravidanza fisiologica tanto è vero che solo pochissime regioni riconoscono la prescrizione ostetrica all’interno dei libretti di gravidanza. Ancor più lentamente avanzano i programmi per il parto fisiologico in strutture meno medicalizzate e ospedalizzate.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: siamo ai primi posti al mondo per numero di parti cesarei. Per le donne in gravidanza (fisiologica) il professionista di riferimento rimane, quasi sempre, il chirurgo specialista in ostetricia e ginecologia.

Dal comma 566 della legge di Stabilità 2015 agli incarichi professionali del CCNL 2018: è vero trasferimento di competenze?

Il comma 566 della legge della legge di Stabilità 2015 aveva un testo che mal si raccordava con le intenzioni dei proponenti e con la normativa precedente. Se le intenzioni erano quelle di introdurre le competenze avanzate e specialistiche delle professioni sanitarie questo obiettivo è fallito in partenza in quanto nulla era scritto che potesse fare presagire questo obiettivo. Vi era piuttosto una previsione di emanazione di un atto normativo della Conferenza Stato Regioni, da emanarsi su base strettamente concertativa, tra “le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati”. Il comma 566 aveva introdotto questa grande novità: la concertazione. Quello che di incomprensibile aveva, invece, era relativo a come si posizionasse il comma 566 rispetto alle leggi di abilitazione all’esercizio professionale “storiche” con particolare riferimento alla legge 42/99.

Quindi metodo concertativo come novità – puntualmente notata dal direttore di questo Giornale che parlava di “novità sfuggita ai più”  – e confusione nella successione delle norme nel tempo anche di natura giuridica visto che la materia dell’esercizio professionale è costituzionalmente attribuita.

Il nuovo contratto di lavoro del comparto sanità utilizza, invece, apertamente gli incarichi professionali, per formalizzare (più che introdurre), sia le competenze avanzate (esperte) che specialistiche, utilizzando però una generica e scivolosa formula definitoria (in parte anche errata), soprattutto nella parte in cui precisa che gli incarichi professionali comportano l’attribuzione di compiti “aggiuntivi e/o maggiormente complessi e richiedono significative, elevate ed innovative competenze professionali rispetto a quelle del profilo posseduto”. Questa formulazione infelice e, ripeto parzialmente errata, non aiuterà certo nella sua applicazione rinfocolando polemiche mai sopite. E’ concettualmente – giuridicamente –  errato infatti parlare di compiti aggiuntivi rispetto a quelli del profilo posseduto. Sarebbe come affermare che le competenze di un medico specialista siano superiori a quelle mediche, essendone invece una naturale filiazione all’interno dell’alveo della stessa professione medica al più medico-specialistiche, ma sempre mediche. Delineate in questo modo le competenze avanzate e specialistiche si mostrano una sorta di alterità rispetto alla professione esercitante, quando invece devono essere concepite come naturali estensioni interne date dallo sviluppo professionale e formativo.

La non eccelsa qualità normativa del disposto contrattuale rende difficile l’applicazione e il dibattito sui contenuti. All’interno del contratto la previsione della “Commissione paritetica” che dovrebbe lavorare alla revisione del sistema appare prima facie interessante, ma decisamente disarmante quando stabilisce, nella propria agenda, la riconfigurazione delle professioni sanitarie come “aggregazione di profili aventi un carattere prestazionale”. Chi ha formulato l’articolo – o parte di esso – dimostra la non conoscenza del mondo professionale, del suo dibattito e delle sue dinamiche: in altre parole non conosce l’argomento.

Metodo concertativo, metodo derogatorio o dettato normativo per la regolazione del rapporto tra professione medica e altre professioni sanitarie?

La legge 42/99, vera e propria architrave illuminata dell’esercizio professionale, è stata costruita come una vera normativa avente la caratteristica work in progress, adattabile ai nuovi contesti senza alcuna necessità di nuovi interventi normativi.

Il metodo concertativo era alla base del comma 566 e naufragato proprio – ma non soltanto – per la non volontà di aprire una base di confronto.

Il metodo derogatorio, invece, è stato utilizzato nel sistema di emergenza sanitaria extraospedaliera nel decreto “De Lorenzo” del 1992. Si derogava, in quel caso, al mansionario degli infermieri per coloro che lavoravano (e lavorano) sulle ambulanze permettendo competenze aggiuntive (allora) rispetto a quelle consentite, attraverso il sistema dei protocolli. Il sistema in questi anni ha retto. Non constano sentenze dichiarative di illegittimità dei protocolli e delle delibere che si sono succeduti negli ultimi tre decenni. Esiste solo la giurisdizione domestica-deontologica dell’Ordine dei medici di Bologna, cioè un atto interno  verso propri iscritti a un ordine provinciale della professione medica.

Il sistema derogatorio però aveva un senso quando c’erano norme rigide per l’esercizio professionale che riguardavano le professioni “collegiate” dell’epoca: infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica. Non ha senso oggi vista la presenza della legge 42/99 e dei suoi ampi criteri di riferimento.

Rimane l’ipotesi di un nuovo intervento normativo, a parer mio sconsigliabile. Significherebbe un ritorno alla logica mansionariale – perché di questo dovrebbe trattarsi – sconfessando l’impostazione della legge 42/99.

In questi anni il lavoro in sanità e i rapporti tra le professioni sanitarie sono continuamente e costantemente cambiati con una giurisprudenza che ha riconosciuto questo cambiamento. Illuminanti sono le sentenze che riconoscono, ormai in modo costante, la “presa in carico” con le relative conseguenze (giuridicamente “posizione di garanzia e di protezione”) e il principio dell’affidamento nel lavoro di equipe che sancisce obblighi “paritetici” ai soggetti coinvolti.

In questi anni il cambiamento si è registrato – ancorché parzialmente e a macchia di leopardo – anche all’interno delle organizzazioni sanitarie: si pensi agli ospedali organizzati per intensità di cura, ai percorsi per la gravidanza fisiologica, ai percorsi della presa in carico nella riabilitazione, ai percorsi dell’assistenza domiciliare, alle esperienze della medicina d’iniziativa ecc.

Si sono registrate anche delle forzature organizzative su base economicistica decisamente da condannare.

Oltre a questo generale cambiamento, che riguarda gran parte del mondo professionale, vi sono “anche” le competenze avanzate e specialistiche che devono essere inquadrate all’interno e non all’esterno delle professioni interessate.

Sull’evoluzione formativa e non normativa e sul suo prosieguo la nota congiunta MIUR/Ministero della salute che si prepara a far partire 90 master conferma la mia analisi.

Conclusioni

Non mi trovo d’accordo con le tesi di Cavicchi laddove parla del rischio di trasferimento d’imperio e de jure delle competenze. In questi decenni non si è registrato alcun atto normativo indicante questa direzione.

Il trasferimento, laddove vi è stato, è stato il frutto di una naturale evoluzione, ma non è stato, come abbiamo visto, su base normativa, bensì formativa. Se proprio dobbiamo parlare di atti normativi, i già ricordati provvedimenti sulla radiologia sono andati nella direzione contraria da quella del trasferimento di competenze e sono gli unici atti emanati in questi anni, al netto del comma 566 che però era su base concertativa. Non si comprendono quindi i rischi invocati per la professione medica.

Non mi trovo inoltre d’accordo su quanto scritto nel volume “Ripensare la deontologia medica”, già citato, sulle “eccezioni al ruolo”. Si tratterebbe di attribuire alla professione medica un potere di abilitazione all’esercizio professionale delle altre professioni sanitarie attraverso un “vincolante consenso preventivo”, per trasferire alcune limitate “funzioni e competenze” sotto la responsabilità del medico stesso. Se una attività è medica è intrasferibile a chi medico non è, e ricorderei anche, che la responsabilità segue la competenza nel nostro ordinamento giuridico, fatti salvi i pochissimi casi relativi alla c.d. responsabilità oggettiva, del tutto inapplicabile in questi casi. La trasmissione di funzioni e competenze, quindi, ha come naturale corollario l’attribuzione della responsabilità in capo a chi effettua l’attività e non certo a chi la, impropriamente, dispone.

Mi troverei invece d’accordo con Cavicchi sul ruolo centrale che dovrebbe assumere il Ministero della salute sul punto al fine di favorire il coinvolgimento di tutte le professioni sanitarie per ridisegnare le competenze e dare piena applicazione alla legge 42/99 di cui quest’anno ricorre il ventennale. Riecheggia però il metodo concertativo che non ha dati buoni frutti fino a oggi per i reciproci veti.

Il Ministero della salute deve attivare con metodi partecipativi atti di indirizzo e moral suasion sulla riorganizzazione. Ascolto e dialogo seguiti da decisione si, metodo concertativo bloccato dai veti incrociati senza decisioni no.

Impossibile, inoltre, non coinvolgere le Regioni in questo percorso visto che sono questi enti che sovraintendono all’organizzazione delle aziende sanitarie. Il tutto, ovviamente, al netto, di spinte autonomistiche che possono mettere in crisi l’unitarietà del Servizio sanitario nazionale e quindi le modalità di esercizio professionale.

Autore: Redazione

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