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Ippocrate e quell’idea di Medicina che da Kos si è affermata in tutto il mondo

“La vita è così breve, l’arte così lunga da apprendere”. Non è che uno degli aforismi di Ippocrate, sempre profondo nelle sue considerazioni. Ma questa frase, in particolare, raccoglie in sé tutta l’inadeguatezza dell’uomo, anche dell’uomo più studioso e più impegnato che ci sia. E vita impegnata fu quella di Ippocrate, considerato universalmente il più grande medico dell’età antica, anzi l’iniziatore di un nuovo modo di concepire la Medicina, con i suoi presupposti che ancora oggi sono validi. Una vita spesa per la Medicina, una vita i cui percorsi e segmenti sono tutti legati da una marcata linea di saggezza.

IPPOCRATE: ALCUNI CENNI STORICI
“La vita è così breve, l’arte così lunga da apprendere”. Una frase così non ha tempo. Ma per apprezzarne in pieno la profondità del significato, occorre collocarla nell’epoca in cui Ippocrate è vissuto. La sua data di nascita oscilla attorno al 460 avanti Cristo. Non ci sono invece dubbi sul fatto che sia nato a Kos. Oscillante anche la valutazione sulla sua morte a Larissa, datata tra il 377 e il 370 a.c. Anno più, anno meno, il buon Ippocrate è campato tra gli 85 e i 90 anni. Un bel record per un’epoca in cui non si conosceva il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione. Certo, nella sua vita la cultura dell’impegno nella ricerca deve averla ereditata dal padre Eraclide, egli stesso medico, che affermava di essere un discendente diretto di Asclepio, dio della medicina. Fu proprio il padre, insieme a Erodico ad introdurre il giovane Ippocrate all’arte medica. Egli lavorò a Kos, viaggiò molto in Grecia e fu anche ad Atene. Ma esercitò specialmente nelle regioni della Grecia settentrionale, in Tracia e a Taso. Come altri cultori dell’arte medica, anche Ippocrate viaggiò molto, tra Egitto e Libia per poi tornare in Grecia. Viaggi per capire come altri Paesi affrontassero le malattie. Attivo nel combattere le principali cause di malattie dell’epoca, quelle conosciute e quelle da lui stesso individuate, contribuì personalmente alla sconfitta della peste che colpì Atene nel 429 a.c. quando Ippocrate era intorno ai 30 anni.
Nell’epidemia morì anche Pericle che, a partire dal 460 a.c. aveva messo in atto una strategia vincente che portò Atene verso la democrazia, con la garanzia di pari diritti per tutti i cittadini. Pericle fece compiere un forte balzo in avanti alla crescita di Atene, anche attraverso opere urbanistiche importanti, a partire dal Partenone. Ma si deve a lui soprattutto all’affermazione della cultura classica, essendosi circondato di illustri pensatori come Socrate, Anassagora e Protagora, nonché Sofocle ed Euripide per il teatro, ed Erodoto per la storia. Nonostante la morte di Pericle, negli anni successivi lo sviluppo della cultura classica continuò soprattutto per le opere di Platone e Aristotele, nonché dello storico Senofonte e del medico Ippocrate.

PRASSI: LA NASCITA DELLA SCIENZA MEDICA
Lo studio e l’osservazione sono stati alla base dell’opera di Ippocrate, per giungere a conclusioni innovative, si direbbe oggi, rispetto alla sua epoca: tra i suoi assunti, il fatto che l’insorgenza delle malattie è dovuta a motivi che stanno nella natura stessa dell’uomo, anche in rapporto all’ambiente circostante, e non a cause sovrannaturali o divine. Un approccio pragmatico, dunque, soggetto a verifiche nel tempo, intuizione e individuazione dei fenomeni basati sulla ricerca e non su credenze più o meno diffuse. Per primo, infatti, disgiunse l’insorgere dell’epilessia dalla presunta induzione per opera divina. Solo l’ignoranza spingeva gli uomini a ritenere che la causa dell’epilessia fosse di origine sovrannaturale. Ippocrate, invece, legò questa malattia, o morbo sacro, a origini di tipo ereditario ed embriologico, connesse con una malformazione del cervello. Da qui la polemica di Ippocrate e dei suoi allievi contro stregoni, bigotti, ciarlatani e maghi. Ma la grandezza di Ippocrate sta anche nella sua elementare spiegazione che Dio non può portare il male: “L’uomo non può essere contaminato da un dio: essendo infatti il primo corruttibile e il secondo sacro, ne sarebbe al massimo purificato e santificato, ma certamente non offeso”. Qui ci sta un altro suo aforisma: “Molti ammirano, pochi sanno”.

IL “CORPUS”
L’intero sviluppo del suo pensiero, dei suoi paradigmi trova riscontro nel Corpus Ippocraticum, un’opera in cui trovano spazio circa 70 scritti, alcuni dei quali non attribuiti direttamente a Ippocrate, ma agli allievi che lui aveva educato. Dopo anni di lavoro incessante e costante, Ippocrate arrivò a stabilire la necessità di osservare razionalmente i pazienti prendendone in considerazione l’aspetto ed i sintomi e introdusse, per la prima volta, i concetti di diagnosi e prognosi. Di fatto era nata così la cartella clinica.
Sua è l’idea della “teoria umorale”, secondo la quale il nostro corpo sarebbe governato da quattro umori diversi (sangue, bile gialla, bile nera, flegma), che, combinandosi in differenti maniere, condurrebbero alla salute (crasi) nel caso in cui questi siano in proporzioni ed equilibrio o, contrariamente, alla malattia. La teoria è espressa nel De Natura hominis del suo discepolo Probo. La sua idea di legare la vita dell’uomo a quella della natura lo portò a intuire per primo l’importanza della dieta e dell’alimentazione: i principi da lui enunciati su questo tema sono stati alla base, pur con diverse varianti, delle successive scoperte, fino ai nostri giorni.

MEDICINA ED ETICA
Ma, a testimonianza della sua attività di medico e di ricercatore, come si dice oggi, c’è un tratto che caratterizza la sua intera esistenza: aver percepito e applicato lo stretto legame tra l’esercizio della professione medica e l’etica. Ippocrate concepiva il dispiegarsi dell’arte medica fortemente ancorato ai doveri morali, quasi prescrivendo ai suoi discepoli e ai medici dell’epoca la regola di comportarsi bene, di condurre una vita regolare, corretta e di prestare la propria opera anche ai più bisognosi, anche senza alcun compenso. E lui per primo applicò questo principio su se stesso, separando la sua attività di medico e di curatore dall’aspetto economico. Numerose testimonianze esistono in tal senso.
Il medico appena formato, appena è pronto ad agire da solo, appena si trova al cospetto del primo malato da curare o di cui prendersi cura, che deve fare? Ippocrate deve essersi posto questa domanda e deve averci riflettuto molto, finché, dopo percorsi durati diversi anni, arrivò a darsi una risposta e conseguentemente a irrobustire la risposta con qualcosa di scritto che aveva lo spirito di rimanere nel tempo: è il famoso Giuramento di Ippocrate che i medici devono recitare nel momento in cui sono idonei ad esercitare la professione. E proprio quel Giuramento è l’eredità più significativa che Ippocrate ci ha lasciato. Un Giuramento che “libera” il medico da eventuali condizionamenti e al tempo stesso lo vincola ai principi etici della solidarietà umana, al rispetto della vita e della persona. Un Giuramento che proponiamo nel suo testo “classico” e nel testo “moderno”. Al di là dell’evoluzione del linguaggio, notare le straordinarie aderenze tra un testo e l’altro. Il testo “moderno” è quello attualmente adottato per il giuramento dei medici ed è alla base del Codice di deontologia medica nelle sue dinamiche evoluzioni. Che il Codice di deontologia medica sia soggetto a evoluzioni dinamiche è un punto fisso della Fnomceo, quasi una visione strategica nel solco tracciato da Ippocrate, il quale, oltre che medico, era anche geologo dotato davvero di una visione globale della vita degli uomini e del mondo, affidando così alla Medicina una valenza extra, rispetto alla dicotomica condizione di “cura-malattia”. Non si può non chiudere questo breve profilo di Ippocrate con un altro suo memorabile aforisma: “Descrivere il passato, comprendere il presente, prevedere il futuro: questo è il compito della medicina”.

Autore: Redazione FNOMCeO

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