“Le sfide si presentano immediatamente quando ci addentriamo nel dialogo con i pazienti e cerchiamo di allineare le nostre idee con le loro. Un processo spesso definito shared decision-making ma che fa invece riferimento, come emergerà da questa serie di articoli, a un insieme più ampio e complesso di attività”, scrive Lehman. L’autore denuncia ad esempio che la prima fase di incontro, quella che dovrebbe far emergere gli obiettivi e le reali necessità del paziente, viene spesso saltata. Una visita medica dovrebbe sempre iniziare con una “diagnosi di preferenza” (4), il momento in cui si raggiunge un accordo circa i motivi che hanno portato il paziente a rivolgersi al medico e gli outcome da considerare come prioritari. A questa fase dovrebbe poi seguirne un’altra dedicata al trasferimento, in forma trasparente e comprensibile, delle informazioni relative allo stato di salute e alle terapie disponibili.
Ma la conoscenza “non dovrebbe essere solo resa disponibile e condivisa con il paziente – sottolinea Lehman – ma anche interiorizzata dal medico a livello personale, così da poter essere comunicata in modo efficace”. Ciò è particolarmente problematico dal momento che nella maggior parte dei casi la fonte di questa conoscenza è costituita da trial clinici i cui risultati trovano difficilmente riscontri immediati nella pratica clinica e sono riportati in modo incomprensibile per i non esperti. Inoltre, non sempre è possibile accedere a tutte le informazioni che emergono da questi studi. Una prima soluzione, almeno parziale, a questo problema potrebbe quindi essere rappresentata dalla condivisione di tutti i dati relativi ai trial in cui sono stati testati i trattamenti attualmente utilizzati. È infatti anomalo che in ambito medico le informazioni raccolte negli studi sperimentali siano considerate proprietà di chi conduce o finanzia la ricerca. “Altre scienze, come l’astronomia, la fisica delle particelle e la genomica, fioriscono perché gli operatori condividono le informazioni in tempo reale”.
Un ruolo altrettanto importante è giocato tuttavia dalle competenze, specie quelle riguardanti l’ascolto e la comunicazione con i pazienti, in quanto in assenza di queste la trasmissione della conoscenza può portare a fraintendimenti. Sarebbe quindi opportuno prevedere dei percorsi di formazione continua che uniscano le competenze diagnostiche alle capacità di condividere le informazioni in modo efficace con i propri pazienti. Inoltre, il rapporto medico-paziente dovrebbe prevedere una certa dose di narrazione delle rispettive esperienze, utile a contestualizzare le evidenze scientifiche e a favorire un dialogo più aperto e supportivo. In alcuni contesti clinici, come quello della chirurgia elettiva, si tende infatti a ridurre la comunicazione a un mero trasferimento di nozioni seguito dalla richiesta di firmare un consenso informato. “Ma questo ha poco a che fare con gran parte della pratica medica”, sottolinea Lehman. “La cura non consiste in una serie di semplici scelte definite ma in un processo di comprensione che va sviluppato e approfondito nel tempo”.
Nel primo articolo della serie di JAMA Internal Medicine, Tulsky e colleghi riportano le considerazioni emerse da una consensus conference e da altre attività volte a indagare lo stato dell’arte della ricerca sulla comunicazione tra medico e paziente. Nello specifico, i ricercatori hanno identificato cinque aree di ricerca in cui sarà necessario realizzare studi ulteriori per poter ottenere un miglioramento significativo del rapporto tra le due figure: misurazione e metodologia, inclusi i processi di valutazione della qualità; meccanismi della comunicazione, tra cui l’identificazione dei comportamenti che fanno apparire i clinici come onesti e compassionevoli agli occhi del paziente e i vari bias che caratterizzano le visite mediche; approcci alternativi di programmazione delle cure nelle condizioni patologiche più gravi; formazione ed educazione riguardanti le competenze comunicative; approcci, come incentivi finanziari e altri fattori motivanti, utili a cambiare le strategie comunicative.
In un momento storico in cui in ambito medico i grandi avanzamenti tecnologici, dall’utilizzo dei big data a quello dell’intelligenza artificiale, sembrano offrire possibilità fino a ora inesplorate, è quindi fondamentale che i medici non rinuncino al lato umano della pratica clinica e fondino il rapporto con i pazienti su principi di apertura e di fiducia. Conclude Lehman: “Il progresso deve essere sempre reso significativo attraverso un processo di comprensione condivisa. Una comprensione che riguarda in primis i clinici come individui, ma che deve essere condivisa all’interno della comunità scientifica e nel rapporto con i pazienti. Il futuro della medicina sta nel condividere la medicina”.
A cura de Il Pensiero Scientifico Editore su www.torinomedica.com
Bibliografia
- Lehman R. Sharing as the Future of Medicine. JAMA Internal Medicine 2017; doi:10.1001/jamainternmed.2017.2371.
- Steinbrook R, Redberg RF. Sharing Medicine—A JAMA Internal Medicine Series. JAMA Internal Medicine 2017; doi:10.1001/jamainternmed.2017.2348.
- Tulsky JA, Beach MC, Butow PN, et al. A Research Agenda for Communication Between Health Care Professionals and Patients Living With Serious Illness. JAMA Internal Medicine 2017; doi:10.1001/jamainternmed.2017.2005
- Mulley AG, Trimble C, Elwyn G. Stop the silent misdiagnosis: patients’ preferences matter. The British Medical Journal 2012; 345: e6572.
Autore: Redazione FNOMCeO