La “SLA”: una malattia dolorosa e difficile da diagnosticare

Report n. 66/2010        

LA “SLA”: UNA MALATTIA DOLOROSA E DIFFICILE DA DIAGNOSTICARE

Sono malati invisibili – nessuno sa dire con certezza quanti siano – e destinati a un percorso di malattia difficile e doloroso. In Italia le persone affette da SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) sono 2.392 e i casi attesi sono oltre 3.600 nei prossimi anni.

Sono le ultime stime pubblicate nello studio sui modelli organizzativi evoluti di gestione socio-sanitario della SLA, promosso dalla FIASO (Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere), la Fondazione ISTUD e l’Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), presentato in questi giorni a Milano, proprio nella settimana nazionale di lotta alla SLA.

Dati, quelli sui casi fino ad oggi rilevati, da prendere però con le molle, sia perché sono solo 9 le Regioni che hanno fino ad oggi ottemperato all’obbligo di trasmettere i dati al Registro Nazionale delle Malattie Rare (RNMR), sia perché gli stessi dati sono di carattere amministrativo e non epidemiologico. Ossia non escludono il conteggio di più accessi ai servizi dello stesso paziente e tendono a ricomprendere anche i casi di SLA ”sospetta”.

Tutto comincia con poche parole tecniche e difficili da interpretare, poi la corsa su Internet e la scoperta di un nome che fa paura: Sla, sclerosi laterale amiotrofica. Per le famiglie è un crescendo di sofferenze per il peggioramento dei loro cari, e di spese per garantirgli un’assistenza dignitosa. I più fortunati trovano una rete multidisciplinare che li prende in carico e aiuti economici offerti dalla Regione, ma questo succede solo in due realtà del Nord: Lombardia e Veneto. Nel resto della Penisola le cose si complicano.

L’analisi dei ricercatori parte dal primo stadio che, secondo gli esperti, è anche "uno dei più delicati": la diagnosi. Non è una questione di tempi (45 minuti in media vengono dedicati al colloquio), ma di qualità della comunicazione. In alcune delle strutture che hanno aderito allo studio, il colloquio avviene in corsia (succede nel 29% dei casi), non in un luogo dedicato (come avviene nel restante 71%). Il paziente si trova davanti un neurologo che spiega la situazione, ma solo nel 29% dei casi può fare affidamento su uno psicologo. Le Aziende sanitarie e ospedaliere coinvolte nella ricerca non fanno distinzione tra pazienti con Sla e pazienti con malattie neuromuscolari, tutti ricoverati in reparti di neurologia. L’80% ha una sezione dedicata all’interno del reparto, ma in molti dei centri gli spazi risultano essere insufficienti. E la protesta più frequente da parte dei familiari è dovuta al fatto che persone in fasi molto diverse della malattia si trovano a condividere la stessa stanza.

Quanto alle liste d’attesa, si viaggia a una media di 30 giorni che diventano però 60 per i centri specialistici. La durata media dei ricoveri è di 19,5 giorni, con un range che va da 10 a 45,5 giorni. E se è vero che l’80% dei pazienti in fase terminale preferisce tornare a casa, l’indagine evidenzia "l’assenza di posti letto dedicati al fine vita". Spiccano invece come vincenti i modelli di assistenza territoriale di Lombardia e Veneto che riescono a garantire una presa in carico globale del paziente e un supporto ai parenti.

In Lombardia ai malati di Sla viene assegnato un voucher socio-sanitario che l’assistito può spendere acquistando prestazioni da un elenco di enti accreditati. Il sistema sussidiario tra pubblico-privato e no profit "alleggerisce” le famiglie di una parte dei costi per l’assistenza privata che sono notevoli: la Sla – rileva lo studio – pesa sui bilanci delle famiglie per oltre 15 mila euro nella fase iniziale della malattia e per 65 mila in quella finale.

Le Asl lombarde programmano, coordinano e controllano le attività di assistenza domiciliare. In tutti i centri si punta a far tornare a casa il paziente, aiutando la famiglia e formando le persone per assisterlo. In Veneto invece l’attivazione dell’assistenza domiciliare spetta al medico di famiglia che è ‘l’angelo custode’ dei pazienti. Il servizio viene poi erogato dalle stesse Asl. I malati veneti di Sla vengono assistiti a 360 gradi integrando servizi e figure professionali: dal medico di famiglia all’infermiere di servizio assistenziale a domicilio, fino agli specialisti.

Lo studio conclude con alcuni consigli per migliorare l’assistenza, dall’alleanza con le associazioni dei pazienti alla creazione di un elenco riconosciuto dei badanti ‘professionisti’, fino a una maggiore formazione e a protocolli specifici per la Sla. Senza dimenticare le campagne informative con testimonial d’impatto come i calciatori. L’obiettivo, commenta il vicepresidente di Fiaso e direttore generale dell’Asl di Milano, Giacomo Walter Locatelli, è aggiungere qualità agli anni di vita. La Sla è una malattia ancora difficile da diagnosticare, visto che in media tra i primi sintomi e la diagnosi trascorrono oltre 400 giorni, ma gli ultimi successi della medicina consentono una sopravvivenza che va estendendosi oltre i 3-5 anni fino ad oggi indicati dalla letteratura scientifica.

P.S. Come sempre chi fosse interessato ad approfondire, la documentazione completa è a disposizione presso il Centro Studi e Documentazione della FNOMCeO

Roma 25/06/2010

Autore: Redazione FNOMCeO

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