L’allarme di OMCeO Torino: “Ogni giorno un medico abbandona l’ospedale”

Ha avuto grande circolazione in rete negli scorsi giorni un articolo scritto da Chiara Rivetti, segretaria Anaao Piemonte e tesoriere dell’Ordine dei Medici della provincia di Torino, che racconta la storia di un medico ortopedico, Federico, spossato da turni massacranti, insufficienza di personale, rischio di denunce, mancanza di rispetto umano e professionale. Federico infine ha deciso di dimettersi dall’incarico in un ospedale pubblico di provincia per passare al privato: niente turni di notte, la possibilità di intraprendere l’attività specialistica e formarsi e, non ultimo, di passare più tempo con suo figlio.

Federico non è l’unico. “Nella mente di un piemontese licenziarsi non è contemplato”, scrive Chiara Rivetti, ma è proprio questa la denuncia portata avanti in queste settimane dall’Ordine di Torino. “Ogni giorno nell’ultimo anno e mezzo in Piemonte hanno dato le dimissioni dal sistema sanitario pubblico 28 medici ogni mese, praticamente uno al giorno. Un danno morale per il medico e un danno per i pazienti” ha dichiarato Guido Giustetto, presidente dell’Ordine di Torino, che ha lanciato l’allarme sulla stampa torinese a seguito dell’intervento di Anaao.

Non sempre chi lascia va a lavorare in clinica, alcuni optano per diventare medici e pediatri di famiglia, ma resta il fatto che dagli ospedali molti scappano. «Spesso per i medici che si dimettono per condizioni di lavoro diventate insopportabili e per la sensazione di non riuscire a curare i propri pazienti in modo adeguato si parla di burn out. Ma questo è un messaggio sbagliato che viene lanciato», continua Guido Giustetto. Di cosa si tratta invece secondo lei? «Io piuttosto parlerei di moral injury, ossia di un danno morale per i medici che sono vittime di un sistema. Parlare di burn out colpevolizza i colleghi, come se non fossero abbastanza bravi e determinati». Quali sono le condizioni che il sistema pone ai camici bianchi? «Il medico lavora in un modo diverso da quello che vorrebbe, è costretto ad accettare continui compromessi perché non ha tutti gli strumenti e le possibilità per lavorare bene e si rende conto che non fa l’interesse del paziente e in qualche modo tradisce la sua fiducia. Questo avviene quando il sistema non garantisce per esempio i posti letto necessari e i pazienti sono ammassati nei corridoi in barella, o sono in fin di vita dietro a un paravento in pronto soccorso, o quando invece di visitare quattro pazienti all’ora gliene hanno prenotati sei e lui si sente frettoloso e negligente. Ma in caso di errore le responsabilità a carico del medico sono individuali, anche quelle penali».

Dal primo gennaio 2018 al 30 giugno 2019, riporta La Stampa, 507 medici hanno interrotto il loro rapporto di lavoro. Dei medici che hanno gettato la spugna, il 54% è rappresentato da donne. Nell’ultimo anno e mezzo il 6% del totale dell’organico si è licenziato. Una vera e propria emergenza sentita soprattutto nei reparti di pediatria, anestesia e medicina d’urgenza. “Un po’ di sollievo potrebbe arrivare dall’applicazione del decreto Calabria con l’assunzione di specializzandi” dichiara Giustetto a Repubblica. “Inoltre la Regione Piemonte nella conferenza Stato-Regioni ha fatto mettere nel patto per la salute una serie di misure per aumentare il numero di medici, anche se alcune di queste, come trattenere i pensionandi in reparto, sono state criticate e potrebbero tamponare l’emergenza al massimo per qualche mese”.

Autore: Redazione

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