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“Ogni professione sanitaria ha immaginato il futuro a modo suo. Ora ridefiniamo insieme ruoli e competenze. Speranza abbia il coraggio di riformare il Ssn”. Intervista al presidente Fnomceo Filippo Anelli

Dai temi (donne, lavoro, giovani, deontologia) protagnosti degli Stati generali della professione medica, passando per il futuro del Ssn e le recenti vicende della Delibera veneta sulle professioni sanitarie passando per il caso Venturi, il numero uno dei medici italiani a tutto tondo lancia anche un messaggio al Governo: “Speranza deve fare un passo in più. Credo si debba aprire un cantiere per riformare il Ssn e superare le disuguaglianze”


10 GEN – “È innegabile che le professioni siano state messe le une contro le altre in questi anni. E ognuna ha provato a immaginarsi la sua professione a modo suo. Ma ora serve confronto e buon senso”. A parlare è il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli che in quest’intervista affronta il tema dei rapporti tra i medici e gli altri professionisti e anche le tante questioni che vedono coinvolta la professione.

A partire da quattro grandi temi (donne, giovani, deontologia, ruolo medico) al centro anche degli Stati generali che si chiuderanno quest’anno con una convention nazionale. Ma non solo, il numero uno dei medici italiani parla anche delle prospettive per il 2020 della sanità e anche della vicenda Venturi.

Presidente, quest’anno si chiuderà il percorso degli Stati generali della professione con l’ultima convention plenaria dopo le quattro sessioni dedicate ai diversi temi delle “100 tesi”. Quale bilancio fino ad ora?
L’idea degli Stati generali nasce come un momento in cui affrontare le problematiche, da più parti denunciate, della professione medica. Il dibattito è nato dalle sollecitazioni/provocazioni intellettuali di Ivan Cavicchi con le sue ‘100 tesi’ ma è chiaro che molti dei temi in ballo sono frutto delle numerose richieste che sono pervenute negli anni da parte del mondo medico. Devo dire che sono molto soddisfatto dato che in questi mesi il dibattito è stato libero e autonomo e ci ha consentito di affrontare a 360 gradi le questioni più urgenti da risolvere per disegnare un futuro migliore della professione.

Partiamo da una delle questioni che più vi ha visto protagonisti: il futuro dei giovani medici…
È uno dei temi fondamentali, perché è là dove si registra il disagio maggiore. I giovani oltre ad avere difficoltà per l’ingresso nel mondo del lavoro spesso hanno anche il problema di non avere una tribuna da cui esprimere il loro disagio. Ecco, con gli Stati generali abbiamo provato a dare una risposta generale e penso che qualcosa sia smosso.

Si riferisce alla carenza di specialisti?
Sì, già un primo risultato raggiunto è stato quello di riuscire a far capire alla politica che non c’è una carenza di medici ma di specialisti. E mi faccia dire, non è roba da poco. C’è un evidente errore di programmazione e i provvedimenti che sono stati messi in campo vanno in una direzione positiva dato che le borse di specializzazione e per la formazione in medicina generale sono aumentate. Certo la partita non è ancora vinta e continueremo a sollecitare le Istituzioni fino a quando non sarà garantita una borsa di specializzazione per ogni medico che si laurea. La formazione è un aspetto fondante ed è la base della nostra professione.

C’è poi la questione del disagio del lavoro femminile. Le donne medico sono sempre di più ma ancora oggi hanno mediamente stipendi più bassi e sono ancora poche quelle che rivestono ruoli apicali.
Non vi è dubbio che i contratti di lavoro devono avere maggiore attenzione al ruolo delle donne. Servono maggiori servizi che consentano alle donne di poter lavorare e allo stesso tempo non mortificare il loro ruolo all’interno della famiglia.

Di strada da fare ce n’è ancora molta…
Siamo molto lontani dai parametri europei, ma è una questione che va risolta perché non è solo un tema di rappresentatività, ma di giustizia. Sempre più anestesisti e chirurghi sono donne e lo Stato non deve mortificarle. Serve per questo un’organizzazione diversa e un primo percorso in questo senso è stato avviato.

E sul ruolo delle donne all’interno dell’Ordine? Diciamocelo sono ancora poche le presidenti.
Anche la vita ordinistica richiede un forte dispendio di tempo ed energie. Ma sono convinto che la Legge 3/18 che prevede una quota minima di donne possa essere d’aiuto ad ampliare la componente femminile.

C’è poi la questione del ruolo del medico. Sembra che la professione abbia perso in autorevolezza agli occhi dei cittadini e in autonomia rispetto alla politica.
Oggi non c’è più quella visione paternalistica del medico. I cittadini, giustamente rivendicano i loro diritti individuali e però in molto casi vedono (erroneamente) il professionista solo come un super tecnico. Ma è un modo di vederci fuorviante, noi abbiamo un ruolo sociale e dobbiamo essere per prima cosa noi stessi a rivendicarlo e a riprendercelo.

Come fare?
Bisogna tornare ad avere consapevolezza che il diritto alla salute è garantito dalle competenze. Per tornare ad avere un ruolo sociale (e non solo tecnico) all’interno della società occorre puntare su responsabilità e autonomia del medico. Ma soprattutto quest’ultima è stata oggetto di grandi riduzioni che hanno raggiunto l’apice col famoso Decreto appropriatezza su cui poi fortunatamente si è fatta marcia indietro. Insomma, il rapporto tra medico e pazienti dev’essere scevro da terzi che vogliono metterci bocca.

Senta, uno degli obiettivi degli Stati generali è preparare il lavoro per una revisione del Codice deontologico. Pensa che i tempi siano maturi?
La revisione del Codice non è un processo semplice ma è necessario anche alla luce dei mutamenti che le illustravo prima. Credo che abbiamo gettato delle buone basi con gli Stati generali ma la revisione credo che spetterà al prossimo Consiglio nazionale.

In questi anni vi siete battuti con forza contro la violenza sui professionisti. All’atto pratico però una legge ancora non c’è mentre i casi di cronaca si susseguono. Che fare?
È chiaro che il fenomeno delle aggressioni evidenzia come si sia spezzato quel filo che collegava il medico al cittadino. E questo anche a causa dei tagli al settore che hanno comportato una riduzione di prestazioni e di personale (soprattutto nelle regioni in piano di rientro o commissariate) ampliando le disuguaglianze sul territorio.

Ok ma il Ddl Antiviolenza ancora non è stato approvato definitivamente…
Ha ragione ma rivendichiamo il fatto di aver sensibilizzato la politica e l’opinione pubblica sul tema. Sul Ddl Antiviolenza devo dire che apprezziamo la sensibilità del Ministro Speranza che ha dichiarato che qualora alla Camera i tempi andassero per le lunghe è pronto a mettere in campo un decreto legge anche perché ormai la situazione ha assunto i crismi dell’emergenza. Mi auguro perciò che entro la primavera si possa avere una legge. Certo, le norme sono fondamentali ma non sufficienti e le garantisco che come Ordine continueremo nella nostra opera di sensibilizzazione dei cittadini. In questo senso le posso anticipare che stiamo per lanciare un docufilm per far capire la portata del fenomeno.

Presidente, cosa si aspetta invece dalla politica sanitaria per questo 2020?
Come ho già avuto modo di dire il Governo nei primi 100 giorni ha fatto molto. Ora però il Ministro Speranza deve fare passo in più. Credo si debba aprire un cantiere per riformare il Ssn e superare le disuguaglianze che sono una delle piaghe della nostra sanità pubblica. Speranza deve cogliere il clima di disponibilità delle professioni e avere il coraggio di lanciare un percorso di innovazione.

Ha qualcosa in mente?
Penso per esempio alla costruzione di Reti di assistenza sovraregionali per portare competenze e tecnologie nei territori più in difficoltà allo scopo di ridurre la mobilità sanitaria. Ma, a prescindere da ciò servono idee nuove che superino il modello fallimentare del regionalismo differenziato che ha ampliato le disuguaglianze. Le autonomie devono moltiplicare la solidarietà e non l’individualismo delle regioni.

Pochi giorni fa è stata istituita la Consulta delle professioni sanitarie. Sarà un ‘ring’ della serie “tutti contro tutti”?
La Consulta è un grande risultato e possiamo dire che il 2020 inizia nel segno del dialogo con la voglia di sedersi tutti attorno ad un tavolo. E già questo non è poco. Poi è innegabile che le professioni siano state messe le une contro le altre in questi anni. E ognuna ha provato a immaginarsi la sua professione a modo suo. In questo senso mi faccia dire per esempio che la Delibera del Veneto sulle competenze avanzate delle professioni sanitarie rappresenta un azzardo. Le Professioni devono essere uguali su tutto il territorio e vanno definiti collegialmente i ruoli. Ben vengano i miglioramenti qualitativi ma dobbiamo farlo senza che nessuno si senta defraudato. Insomma, serve confronto e buon senso.

Crede che la Consulta possa dirimere questioni come questa?
Deve essere il luogo dove le professioni si confrontano e certamente può essere il posto adatto dove ridefinire i ruoli. Mi faccia dire però che l’assenza delle Regioni al Tavolo è una carenza che a mio avviso andrebbe colmata.

Sono stati rinviati a giudizio i 9 membri dell’Ordine di Bologna che avevano radiato l’assessore dell’Emilia Romagna. Non crede che tutta la vicenda, anche dopo la bocciatura della misura da parte della Consulta, abbia danneggiato l’immagine degli Ordini?
Mi faccia dire in premessa che ogni Ordine provinciale agisce in autonomia. Credo però che intorno alla vicenda vi sia stato troppo clamore. Innanzitutto la sentenza della Consulta va vista in modo positivo in quanto ribadisce il ruolo degli Ordini come definiti dalla Legge. Ma detto ciò come accade spessissimo tra Stato e Regioni la Suprema Corte ha semplicemente risolto un conflitto di attribuzione tra organi dello Stato chiarendo quali siano i confini. Ora la magistratura farà il suo corso anche se mi sento di dire che da parte dei consiglieri bolognesi non c’è stato dolo.

Luciano Fassari

Pubblicato su Quotidiano Sanità

Autore: Redazione

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