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OMCeO Bari. Medici della persona: non solo curare, ma prendersi cura. Medici a confronto su pandemia, comunicazione e dilemmi etici

“È importante che come medici ci si ritagli uno spazio di riflessione etica, perché la professione medica abbraccia non solo lo spazio tecnico ma anche quello etico. I medici si sono trovati di fronte ad una situazione inedita e caratterizzata dalla complessità: dalla mancanza dei DPI nella prima ora, all’allocazione delle risorse, dalla disponibilità di posti letto e la loro assegnazione, all’uso di terapie sperimentali, da a chi somministrare per primo il vaccino, all’obbligo vaccinale. Quali sono le emergenze etiche che sono affiorate durante la pandemia?”. Si è aperto con questa domanda di Don Mimmo Marrone della Diocesi di Trani l’incontro di oggi a Bari della Scuola di Etica Pubblica, dal titolo “La Pandemia e i dilemmi in corsia”, organizzato dall’Ordine dei medici di Bari. Hanno dialogato con Don Marrone sugli aspetti deontologici ed etici della professione di fronte all’esperienza del Covid 19 Franco Lavalle, VicePresidente dell’OMceo Bari,  Anna Nogara (UOC Medicina Interna Ospedale Ss. Giovanni e Paolo di Venezia), Salvatore Grasso (Dipartimento dell’emergenza e dei trapianti di organi, Università degli Studi di Bari) e Niki Brienza (Dipartimento dell’emergenza e dei trapianti di organi, Università degli Studi di Bari).

“Noi insegniamo ai giovani colleghi ad essere medici della malattia, mentre dovremmo insegnare loro ad essere medici della persona.” – ha dichiarato in apertura Filippo Anelli, Presidente Omceo Bari – “C’è bisogno di un cambio di paradigma culturale. Avremo sempre di più un rapporto con le macchine, che sapranno fare meglio di noi una diagnosi, ma quello che caratterizzerà il medico sarà proprio il rapporto con il paziente, coniugato con la conoscenza. Il medico dovrà conciliare la gestione della complessità con la singolarità del paziente. Per questo ho lanciato l’idea di riformare il codice deontologico, scrivendo le nuove regole che dovranno ispirare la professione nel contesto profondamente cambiato e complesso cui ci troviamo di fronte”.
L’importanza della comunicazione e la sfiducia nei confronti della scienza di una parte della popolazione, che mina il rapporto medico paziente, sono stati tra i temi emersi durante la pandemia, in un contesto caratterizzato dalla complessità, come ha spiegato Salvatore Grasso: “La medicina procede sperimentando e per evidenze statistiche che si affinano sempre più, con un avvicinamento progressivo ad una verità che non si raggiunge mai. Questa complessità è difficilissima da spiegare alle persone, che nella maggior parte dei casi vogliono risposte semplici e rassicuranti. La comunicazione in tv in molti casi è stata dannosa, perché bisognava avere il coraggio di dire “non lo sappiamo”. Io mi sono reso conto che dire ‘non lo so’ ai parenti può essere meglio, perché capiscono che sei in buona fede. La comunicazione deve tornare a questo tipo di sincerità”.

“La verità è che nelle prime fasi noi non sapevamo cosa comunicare. – ha aggiunto Niki Brienza – “Abbiamo preteso che in 15 giorni dovessimo sapere tutto su una malattia sconosciuta. All’inizio non sapevamo nulla e non avevamo gli strumenti per comunicare, né per curare. Tuttora non abbiamo una terapia per il Covid 19. La gente ha vissuto la confusione che abbiano vissuto anche noi.”

Nell’immaginario collettiva la scienza è percepita come quella disciplina che fornisce risposte certe, subito. Invece, la sensazione di incertezza alimentata dalla pandemia ha favorito ad un ritorno del pensiero magico, fomentato da una cattiva comunicazione, che ha indotto una fascia della popolazione a ricorrere al pensiero pre-scientifico. Proprio perché la persona è complessa e include aspetti emozionali, psicologici e affettivi, la scienza medica deve coltivare la relazione e non concentrarsi esclusivamente dell’aspetto tecnico. Come ha sottolineato Anna Nogara: “La medicina interna si è trovata d’improvviso ad aiutare rianimazione e malattie infettive, a creare un reparto che non c’era. Si trattava di difendere il paziente fragile. Uno dei miei grandi maestri mi diceva sempre “I vecchietti non hanno la mamma” e quindi devono essere protetti. Abbiamo quindi cercato di essere vicini ai pazienti e alle loro famiglie. Dobbiamo prenderci cura, oltre che curare. La comunicazione è molto importante insieme all’accoglienza: se si sentono accuditi, se gli si dedica tempo, se ci prendiamo cura di loro, si fideranno. Noi avevamo messo a disposizione nel nostro reparto un numero apposito di informazione per i famigliari ma anche per i medici del territorio e di altri ospedali. Ci ha consentito di rispondere a domande che nascevano magari sentendo i telegiornali o altre fonti. Meglio dare direttamente le spiegazioni. È più faticoso ma è utile”.


La IX edizione della Scuola di Etica Pubblica per Medici ed Odontoiatri – organizzata dall’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri di Bari e dall’Associazione Onlus “Cercasi un fine” – è dedicata a “Le ferite della pandemia”. Si pone come uno spazio di riflessione e approfondimento per studiare le motivazioni della Professione e collocarle nel contesto pubblico, cogliendone i risvolti etici, antropologici, istituzionali e politici.

Autore: Redazione

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