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Pazienti oncologici: ancora poca informazione?

Al giorno d’oggi le persone affette da cancro hanno, grazie alla proliferazione di nuovi approcci e trattamenti, diverse opzioni terapeutiche tra cui scegliere. In molti casi però i pazienti non sono a conoscenza delle loro reali possibilità, a causa della scarsa capacità (o volontà) dei medici di comunicarle o dei meccanismi psicologici di difesa, basati molto spesso sulla negazione delle evidenze, che si manifestano come reazione alla diagnosi. Ne risulta, come sostiene un articolo scritto dalla giornalista Liz Szabo per la testata online Kaiser Health News (1), che molte persone affette da un cancro in fase avanzata non sono abbastanza informati sulla loro malattia da poter prendere decisioni consapevoli sui trattamenti e sull’ultima parte della loro vita.

Capita, ad esempio, che gli oncologi falliscano nel comunicare correttamente ai pazienti le loro probabilità di sopravvivenza o che i pazienti si trovino in uno stato mentale tale da ostacolare la comprensione delle informazioni. In altri casi, invece, accade che medici e pazienti stringano una sorta di patto implicito (definito dai ricercatori “collusione necessaria”) che fa sì che entrambi evitino di parlare della morte o di fare riferimento a questa possibilità. L’emergere di nuove possibilità di trattamento ha poi complicato ulteriormente la situazione, in quanto nella maggior parte dei casi la loro efficacia nel garantire una maggiore sopravvivenza o una migliore qualità della vita vale solo per una frazione di pazienti. Ciò nonostante, molti malati di cancro ripongono tutte le loro speranze in queste terapie e ritardano nel prendere decisioni critiche in merito al fine vita.

Uno dei fattori principali coinvolti in questa tendenza è il cosiddetto bias dell’ottimismo. Quando si trovano in una situazione caratterizzata da grande incertezza, tanto i medici quanto i pazienti tendono a sovrastimare la potenziale efficacia dei trattamenti. “Spesso si tratta di persone che si conoscono da tempo”, sottolinea Ronald Adelman, co-direttore del reparto di geriatria e cure palliative del New York-Presbyterian Hospital/Weill Cornell Medical Center, “per cui diventa difficile per i medici non dire ai pazienti quello che vogliono sentirsi dire”. In uno studio realizzato su 468 malati di cancro terminali, ad esempio, solo il 20% degli oncologi aveva predetto accuratamente l’aspettativa di vita del paziente (2). Un effetto risultato correlato alla durata della relazione medico-paziente: da più tempo si conoscevano, maggiore era probabilità che il medico sovrastimasse la sopravvivenza del paziente.

In altri casi invece è la qualità della comunicazione a essere scarsa. Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Journal of Oncology Practice, in cui i ricercatori hanno preso in esame 128 registrazioni audio di visite oncologiche, ha dimostrato che i medici dedicano in media solo il 10% del loro tempo a fornire informazioni relative alla prognosi (3). Addirittura, un oncologo tra quelli presi in considerazione aveva evitato di riportare che il cancro del suo paziente era peggiorato rapidamente a causa dei repentini cambiamenti di terapia. “La buona notizia è abbiamo a disposizione molte opzioni”, aveva commentato. Inoltre, molto spesso i clinici utilizzano termini medici incomprensibili per i non-addetti. Ad esempio, può capitare che un dottore dica al suo paziente che il suo tumore ha il 25% di probabilità di “rispondere” alla chemioterapia e che quest’ultimo capisca, erroneamente, di avere il 25% di probabilità di “guarire”.

In generale, anche se nei sondaggi i pazienti sostengono spesso di desiderare che i medici siano quanto più possibile onesti, chi riceve una diagnosi di cancro tende a ricercare informazioni positive. Uno studio pubblicato nel 2015 su JAMA Oncology, ad esempio, ha dimostrato che i pazienti con un’idea meno accurata rispetto alla loro prognosi (per esempio, che credeva che la chemioterapia potesse curare un cancro incurabile) erano quelli che assegnavano punteggi più elevati alle capacità comunicative dei propri medici (4). “I malati vogliono che gli oncologi siano onesti con loro: vogliono che questi dicano, in tutta onestà, che la malattia è curabile”, sottolinea Robert Gramling, responsabile del reparto di medicina palliativa all’University of Vermont College of Medicine.

Una corretta comunicazione è tuttavia fondamentale affinché i pazienti possano prendere le decisioni migliori per la loro salute. Le persone affette da un cancro non sono però tutte uguali tra loro: alcune vogliono “sapere tutto”, altre preferiscono sapere il meno possibile. “Questa è la ragione per cui i medici dovrebbero modulare il loro messaggio in base alle esigenze specifiche del paziente”, conclude Richard Schilsky dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO). “Quando incontro un nuovo paziente faccio due domande: ‘Cosa sai sul tuo cancro?’ e ‘Cosa vuoi sapere?’”. Queste permettono alla persona in questione di prendere il controllo della situazione e di ricevere solo la quantità di informazioni che desidera.

Infine, anche le cure palliative, le quali si focalizzano sulla qualità della vita del paziente e dei suoi familiari, permettono di raggiungere una maggiore comprensione della malattia (5). Non a caso l’ASCO, la più grande associazione di oncologi degli Stati Uniti, raccomanda che tutti gli individui con un cancro in fase avanzata siano sottoposti a cure palliative nelle otto settimane successive alla diagnosi. Queste, infatti, favorendo una presa di coscienza in merito ai propri obiettivi e valori, permettono ai pazienti di fare chiarezza sulle loro necessità, di discuterle apertamente e di vivere al meglio la fase finale della malattia.

Bibliografia

  1. Szabo L. ‘How long have I got?’: Why many cancer patients don’t have answers. Kaiser Health News. Pubblicato l’11 giugno 2017.
    2. Chirstakis NA, Johnson RW. Extent and determinants of error in physician’ prognoses in terminally ill patients: prospective cohort studies. British Medical Journal 2000; 320: 469.
    3. Singh S, Cortex D, Maynard D, et al. Characterizing the nature of scan results discussions: insights into why patients misunderstand their prognosis. Journal of Oncology Practice 2017; 13: e231-9.
    4. Tanco K, Rhondali W, Perez-Cruz P, et al. Patient perception of physician compassion after a more optimistic vs a less optimistic message. A randomized clinical trial. JAMA Oncology 2015; 1: 176-83.
    5. Temel JS, Greer JA, Admane S, et al. Longitudinal perceptions of prognosis and goals of therapy in patients with metastatic non-small-cell lung cancer: results of a randomized study of early palliative care. Journal of Clinical Oncology 2011; 29: 2319-26.

A cura del Pensiero Scientifico editore. Fonte: www.torinomedica.com

Autore: Redazione FNOMCeO

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