Responsabilità professionale dell’odontoiatra

Cassazione Civile Ordinanza n. 17405/16 – Responsabilità professionale dell’odontoiatra – La Corte di Cassazione ha affermato che la responsabilità dell’odontoiatra non sussiste quando il fallimento delle cure eseguite non derivi dall’opera dello stesso, ma dalle condizioni pregresse del paziente (malocclusione) o dalla condotta dello stesso paziente. La Corte rileva che nel caso di specie l’odontoiatra aveva tenuto una condotta diligente, avendo correttamente informato il paziente segnalandogli i possibili rischi dell’intervento.

FATTO E DIRITTO: Nel 2002 D.P. convenne dinanzi al Tribunale di Venezia C.G., assumendo: di avere stipulato col convenuto, odontoiatra, un contratto di prestazione d’opera professionale, avente ad oggetto l’esecuzione di atre dentarie; che le cure erano state malamente eseguite dal professionista; che a causa degli errori del medico aveva dovuto ricominciare daccapo l’intera cura. Chiese perciò la risoluzione del contratto, la restituzione del corrispettivo e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni. Opponendosi il convenuto, il Tribunale di Venezia con sentenza n. 1111 del 2008 rigettò la domanda, ritenendo insussistente un valido nesso di causa tra l’opera del medico convenuto e gli inconvenienti lamentati dall’attore.

La Corte d’appello di Venezia, adita da ambo le parti, con sentenza n. 1660 del 2014 rigettò sia il gravame principale che quello principale; a p. 11 della sentenza la Corte d’appello afferma che spetta al danneggiato l’onere di provare l’esistenza d’un nesso di causa tra il danno e l’opera del sanitario, alle successive pp. 12-13, con una seconda ed autonoma ratio decidendi, la Corte d’appello ha ritenuto in fiuto che la causa del fallimento delle cure eseguite dal convenuto non andasse ricercata nell’opera di questi, ma in fattori naturali (malocclusione) o nella condotta dello stesso paziente; ed ha soggiunto che in ogni caso il medico aveva agito con la (diligenza) prescritta dalle leges artis.

Tale sentenza è stata impugnata per cassazione da D.P. La sentenza impugnata, dopo avere indicato le ragioni per cui doveva ritenersi incerto il nesso di causa tra l’opera del medico ed il danno (pp. 9-11), mette un punto fermo ed introduce un nuovo tema d’indagine, introdotto dalla congiunzione "peraltro" (p. 11), che per l’appunto ha il significato di "inoltre", "per di più", "aggiungasi che". La suddetta congiunzione avvia una serie di considerazioni in cui si afferma in sostanza che: (a) la causa del danno non fu l’opera del medico, ma le condizioni pregresse del paziente; (b) il medico, correttamente informando il paziente e segnalandogli i possibili rischi dell’intervento, tenne una condotta diligente (ibidem, p. 12). Pertanto, quand’anche si affermasse erronea la statuizione secondo cui il nesso di causa era incerto e tale incertezza ridondava a sfavore dell’attore, le suddette affermazioni sarebbero di per sè idonee a sorreggere comunque una sentenza di rigetto. È dunque evidente che esse non costituiscono obiter dicta, ma distinte ed autonome ragioni (ulteriori rispetto quelle enunciate a p. 11 della sentenza) che si sarebbero dovute impugnare autonomamente, e che non lo sono state.

© Riproduzione riservata

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

Documenti allegati:

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.