Tar Lazio Sentenza N. 2369/2020 – Medici Militari

Il Tar del Lazio ha stabilito che: “ l’espletamento di un incarico libero professionale in qualità di “specialista ambulatoriale convenzionata con il SSN”, ossia la mera instaurazione di un rapporto convenzionale con quest’ultimo, fuoriesce dal regime di “incompatibilità” dell’art. 894 COM e, pertanto, non vale in alcun modo – in carenza di elementi oggettivi e concreti, utili a dare prova dell’instaurazione di un rapporto di natura diversa, come nell’ipotesi in trattazione – a giustificare l’adozione di un provvedimento di decadenza ex art. 898 COM..”

FATTO e DIRITTO.1. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 25 ottobre 2017 e depositato il successivo 21 novembre 2017, la ricorrente – già “ufficiale superiore medico, con il grado di tenente colonnello in spe del Corpo sanitario dell’Esercito”, in quanto vincitrice nell’anno 2000 di un concorso pubblico, per titoli ed esami, “di cui tre posti” erano “riservati espressamente a medici” in possesso di “specializzazione in ostetricia e ginecologia”, come la predetta – ha impugnato il provvedimento di decadenza dal rapporto d’impiego meglio indicato in epigrafe, chiedendone l’annullamento. A tali fini, la ricorrente – dopo aver rappresentato che il provvedimento de quo è stato formalmente adottato “ai sensi dell’art. 898, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010” (c.d. COM), ossia in applicazione del regime di “incompatibilità” con l’esercizio di ogni altra professione che connota la professione di militare ex art. 894 C.O.M., con richiamo, tra l’altro, della normativa inerente all’Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i “medici specialisti ambulatoriali interni” e della normativa vigente in materia “durata media dell’orario di lavoro”, prescrivente il tetto massimo di 48 ore – ha dedotto i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, sostenendo – in sintesi – la piena ammissibilità dei rapporti “in regime di convenzione” tra i medici militari e il SSN, in virtù della deroga all’incompatibilità statuita dall’art. 210 del COM, attesa, peraltro, l’indiscussa natura “libero professionale” che connota gli stessi, e, ancora, adducendo – in termini più generali – l’inoperatività dell’art. 894, comma 1, del COM, statuente il “regime di incompatibilità dell’esercizio di professioni diverse da quella di ufficiale”, nei confronti degli “ufficiali medici” che prestano attività libero professionali, avendo, peraltro, cura di precisare – a titolo di completezza – che quest’ultimi non sono tenuti non solo a richiedere una qualsiasi autorizzazione per l’esercizio delle attività de quibus (posto che “la facoltà dell’esercizio dell’attività libero professionale deriva direttamente dalla legge”) ma anche a rispettare la disciplina in materia di “orario di lavoro massimo settimanale” (fissato in 48 ore dall’art. 4 del d.lgs. n. 66 del 2003). A seguito del deposito in data 21 novembre 2017 di ulteriori documenti, il successivo 13 marzo 2018 la ricorrente ha prodotto “motivi aggiunti”, volto a chiedere e ottenere l’annullamento del provvedimento con cui, in data 28 dicembre 2017, il Ministero della Difesa – in riscontro ad un’istanza di riesame dalla predetta presentata, essenzialmente predisposta in ragione dei contenuti della relazione del Nucleo Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza, acquisita con rituale accesso presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – ha confermato il provvedimento di decadenza già gravato. A tali fini la ricorrente ha dedotto i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, ribadendo l’inoperatività nei confronti dei medici militari delle incompatibilità professionali codificate dall’art. 894, comma 1, C.O.M., con evidenza – in aggiunta – che l’esercizio della libera professione di medico specialista è autorizzato ex lege e, nel contempo, non è soggetto a un “tetto orario”, e denunciando, ancora, la natura “ontologicamente disciplinare” della decadenza comminata nonché una palese disparità di trattamento rispetto a colleghi medici militari nominativamente indicati, i quali – pur avendo superato il limite orario delle 48 ore – non risultano essere stati destinatari di contestazione alcuna. Specificamente in relazione a tali motivi, il successivo 19 marzo 2018 la ricorrente ha prodotto documenti. In data 18 marzo 2019 la ricorrente ha formulato “istanza ex art. 55 comma 3 c.p.a.”. In seguito e, precisamente, in data 1 aprile 2019, la ricorrente ha nuovamente depositato documenti. Con atto depositato in data 30 aprile 2019 si è costituito il Ministero della Difesa. In data 2 maggio 2019 la ricorrente ha depositato ulteriori documenti. Con ordinanza collegiale n. 5745 dell’8 maggio 2019 la Sezione ha disposto incombenti istruttori. In adempimento all’ordine impartito, i successivi 4 e 7 giugno 2019 il Ministero della Difesa ha prodotto documenti e una relazione, connotata – in sintesi – dal seguente contenuto: – la vicenda in trattazione ha essenzialmente tratto origine dalla nota con cui, in data 4 agosto 2016, la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica ha informato la Direzione Generale per il Personale Militare che la ricorrente svolgeva altra attività professionale, “allegando copia della delibera nei confronti della dottoressa P., con la quale il Direttore Generale dell’Azienza USL T. S. E. provvedeva a trasformare l’incarico professionale di Specialista Ambulatoriale nella branca di Ostetricia e Ginecologia da tempo determinato a tempo indeterminato, per quindici ore settimanali da svolgersi presso la Zona V. d. C. della Provincia di S., e quattro ore quindicinali da svolgersi presso la Zona S. Consultorio d. G. in C.”; – a seguito di tale segnalazione, con nota del 20 ottobre 2016 l’indicata Direzione diffidava la ricorrente a cessare tale situazione, ritenuta incompatibile in ragione dell’effettuazione di prestazioni lavorative in sedi diverse e distanti, con superamento del tetto massimo di 48 ore settimanali; – l’interessata, a mezzi di propri legali, inoltrava osservazioni; – atteso che le osservazioni de qua erano “ritenute ininfluenti”, con nota del 6 dicembre 2016 era concesso un nuovo termine di 15 gg. per cessare la “situazione di incompatibilità”; – nonostante l’invio di “ulteriori memorie”, il 44° Reggimento di Sostegno Telecomunicazioni “Penne” comunicava la mancata cessazione dell’incompatibilità e, pertanto, con provvedimento adottato il successivo 6 dicembre 2016 la diffida veniva confermata; – premessa l’avvenuta impugnativa dei su indicati provvedimenti ad opera del Ten. Col. P. con ricorso R.G. n. 330/2017, il successivo 27 luglio 2017 l’Amministrazione adottava il provvedimento di decadenza dal rapporto di impiego “per incompatibilità ai sensi dell’art. 898 del D.Lgs. n. 66/2010”, oggetto del gravame in trattazione; – ciò detto e, comunque, al fine di replicare alle censure formulate, si osserva che: a) il richiamo dell’art. 210 C.O.M. “appare inconferente”, atteso che “l’attività di cui trattasi riveste i caratteri del lavoro subordinato e, come tale, sottoposta alla disciplina in materia di lavoro di cui al D.Lgs. n. 66/2003”, ed è proprio “il lavoro subordinato intrapreso presso la USL Toscana Sud Est… e le modalità dello stesso … a rendere l’attività extraprofessionale incompatibile con lo status di Ufficiale in servizio permanente”, per il superamento del limite orario delle 48 ore settimanali, fissato dal D.Lgs. n. 66/2003 “che discende dalla Direttiva 2003/88/CE e, pertanto, norma di rango superiore che ha il primato sul diritto interno”; b) l’asserita inapplicabilità dell’art. 894 del C.O.M. nei confronti dei medici militari “comporterebbe” – del resto – “che la professione medica esercitata dai medici militari esternamente all’Amministrazione Militare non incontrerebbe alcun limite, e ciò in contrasto con i principi di cui agli artt. 51, 54, 97 e 98 della Costituzione nonché, in tema di disciplina delle incompatibilità e del divieto di cumulo di incarichi nel pubblico impiego, con l’art. 60 e seguenti del D.P.R. n. 3/1957 e con l’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001”; c) l’adozione del provvedimento in questione “è del tutto automatica e non ha natura di sanzione disciplinare”; d) “con riferimento alla disparità di trattamento, …… la scrivente resta tuttora in attesa degli accertamenti chiesti al Dipartimento della Funzione Pubblica nei confronti dei due Ufficiali medici evidenziati in sede di verifica condotta dal citato Nucleo Speciale Anticorruzione della Guardia di Finanza”, precisando che non appare possibile porre in essere controlli nei confronti di Ufficiali medici che svolgono “attività libero professionale, poiché la libera professione medica rientra nella deroga di cui all’art. 210 del C.O.M. – al pari dell’attività subordinata – ma, a differenza di quest’ultima, trattasi di attività per la quale è esclusa l’applicabilità del D.Lgs. n. 66/2003”, sicchè – in definitiva – ciò che rileva o, comunque, ha originato l’adozione del provvedimento di decadenza impugnato è la prestazione da parte della ricorrente di “attività extraprofessionale in qualità di lavoratore subordinato”, con il superamento delle 48 ore settimanali e in sedi diverse, “non garantendosi un adeguato riposo come definito dagli artt. 1 e 7 del richiamato D.Lgs. n. 66/2003”.

A seguito della produzione di documenti in date 27 e 28 giugno 2019, sempre in data 28 giugno 2019 la ricorrente ha prodotto una “memoria di replica” con cui ha tenuto a porre in evidenza che –nella “relazione avversaria” – “la P.A. … dichiara, PER LA PRIMA VOLTA, che il rapporto contrattuale in convenzione de quo non avrebbe natura libero professionale; ma di lavoro subordinato, per cui ad esso si applicherebbe il limite orario di 48 ore di lavoro settimanali complessive”, e, ancora, a denunciare “l’inammissibilità di siffatta dichiarazione, che vorrebbe costituire una nuova e tardiva motivazione dei provvedimenti impugnati”, salvo – comunque – contestare “radicalmente tale assunto”, persistendo, tra l’altro, nell’affermare che “l’attività libero professionale” dalla predetta prestata “in regime di convenzione con il SSN non ha affatto inficiato la sua attività lavorativa di medico militare ed il recupero psico fisico”.

Con l’ordinanza n. 4475 del 2 luglio 2019, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare, tenuto anche conto della mancata adduzione – a fronte dell’ampio lasso di tempo trascorso dalla data di adozione del provvedimento di decadenza impugnato – della “sopravvenienza di eventi nuovi, atti a ….. supportare” l’effettiva esistenza “del pregiudizio grave ed irreparabile lamentato”.

In data 4 gennaio 2020 la ricorrente ha prodotto un ulteriore scritto difensivo, volto a rimarcare la natura di “rapporto di lavoro autonomo” del “rapporto di convenzionamento” tra le ASL e i medici specialisti ambulatoriali e, ancora, la piena configurabilità dell’attività svolta in regime di convenzionamento con il SSN come “attività libero professionale”, come, peraltro, affermato dal Ministero del Lavoro con parere del 29 febbraio 2016, autorizzata – in quanto tale – “ex lege (art. 210 del COM)”, senza alcun obbligo di comunicazione ex art. 748 COM.

All’udienza pubblica del 5 febbraio 2020 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. Le impugnative proposte con l’atto introduttivo del giudizio e i motivi aggiunti in seguito proposti – in relazione alle quali sussistono giusti motivi per procedere ad una trattazione congiunta – sono fondate e, pertanto, vanno accolte per le ragioni di seguito indicate.

2.1. Come si trae dalla narrativa che precede, la ricorrente contesta la legittimità:

– del decreto dirigenziale con cui, in data 27 luglio 2017, il Ministero della Difesa l’ha dichiarata decaduta dal rapporto di impiego “per incompatibilità, ai sensi dell’art. 898, comma 2, del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66” e, dunque, ha disposto “la cessazione dal servizio permanente” della predetta “a decorrere dal 28 dicembre 2016, ai sensi dell’articolo 923, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 ed il collocamento, in pari data, nella categoria del complemento”, qualificando “servizio di fatto” le attività “prestate nel periodo ricompreso tra il 28 dicembre 2016 e la notifica” del provvedimento;

– del provvedimento con cui, in data 28 dicembre 2017, il su indicato Ministero – in riscontro all’“istanza di riesame e annullamento in autotutela del provvedimento di decadenza dall’impiego” di cui sopra, dalla predetta inoltrata – ha integralmente confermato i provvedimenti adottati con il decreto dirigenziale in discussione.

A tali fini la ricorrente deduce – in primis – il vizio di violazione e falsa interpretazione degli artt. artt. 210 e 894-898 del D.Lgs. n. 66 del 2010, ponendo in ampia evidenza che l’incompatibilità professionale dei medici militari è soggetta ad un particolare regime giuridico, connotato non solo dalla carenza di qualsiasi limitazione nell’accesso “dei medici militari specializzati al regime libero professionale in regime di convenzione con il SSN” ma anche dalla connessa inoperatività delle “previsioni inerenti alla potestà autorizzatoria”, per poi ulteriormente soffermarsi – in seguito e, specificamente, in replica ai contenuti della relazione prodotta dall’Amministrazione in esecuzione dell’ordinanza collegiale n. 5745 del 2019 – sulla natura “libero professionale” del rapporto del medico specialista convenzionato con il SSN, in quanto atta anche a escludere in radice l’applicabilità del limite orario di 48 ore settimanali, previsto dal d.lgs. n. 66 del 2003.

2.2. Stante quanto in precedenza riportato, il Collegio ravvisa la necessità di ricordare che:

– secondo il disposto dell’art. 894 COM, “1. La professione di militare è incompatibile con l’esercizio di ogni altra professione, salvo i casi previsti da disposizioni speciali.

2. E’ altresì incompatibile l’esercizio di un mestiere, di un’industria o di un commercio, la carica di amministratore, consigliere, sindaco o altra consimile, retribuita o non, in società costituite a fine di lucro.

…..”;

– il successivo art. 896 del COM prevede, poi, che “1. I militari non possono svolgere incarichi retribuiti che non sono stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

2. Gli incarichi autorizzati possono essere svolti solamente al di fuori degli orari di servizio e non devono essere incompatibili con l’adempimento dei doveri connessi con lo stato di militare.

3. Disposizioni interne indicano quali sono gli incarichi retribuiti che possono essere autorizzati o conferiti e con quali modalità, secondo criteri oggettivi e predeterminati che tengono conto delle specifiche professionalità, tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto sia di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.

4. E’ fatta salva l’applicazione, in quanto compatibile, dell’articolo 53, commi da 8 a 16-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”;

– in linea con i limiti posti nelle su indicate previsioni ma anche con quelli fissati dal Testo Unico in materia di pubblico impiego (il d.lgs. n. 165 del 2001), l’art. 898 del COM – nel disciplinare la “Decadenza dal rapporto di impiego per incompatibilità professionale” – stabilisce che “1. Il militare che non osserva le norme sulle incompatibilità professionali è diffidato su determinazione ministeriale a cessare immediatamente dalla situazione di incompatibilità.

2. Decorsi quindici giorni dalla diffida, senza che l’incompatibilità cessi, il militare decade dall’impiego.

3. La circostanza che il militare ha obbedito alla diffida non preclude l’eventuale azione disciplinare.

4. Il militare che decade dall’impiego, ai sensi del comma 2, e che conti almeno venti anni di servizio effettivo è collocato nella riserva. Se il servizio è inferiore a detto limite:

a) l’ufficiale è collocato nel complemento o nella riserva di complemento, a seconda dell’età;

b) il sottufficiale è collocato nel complemento;

c) il graduato è collocato sempre nella riserva.

…..”;

– per quanto di interesse in questa sede, l’art. 210 del COM prevede, ancora, che: “1. In deroga all’articolo 894, comma 1, ai medici militari non sono applicabili le norme relative alle incompatibilità inerenti l’esercizio delle attività libero professionali, nonché le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il servizio sanitario nazionale, fermo restando il divieto di visitare privatamente gli iscritti di leva e di rilasciare loro certificati di infermità e di imperfezioni fisiche che possano dar luogo alla riforma.

1.1. Nell’esercizio delle attività libero professionali di cui al comma 1, i medici militari non possono svolgere attività peritali di parte in giudizi civili, penali o amministrativi in cui è coinvolta l’Amministrazione della difesa ovvero, per i medici militari del Corpo della Guardia di finanza, l’Amministrazione di appartenenza.”

Da quanto riportato il Collegio evince che:

– il principio di incompatibilità con l’esercizio di altre professioni ovvero il dovere di esclusività che connota il rapporto di pubblico impiego – comportante, come noto, il divieto di cumuli di impieghi e di incarichi, in linea, tra l’altro, con l’art. 98 della Costituzione (secondo cui “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”) – riguarda – in termini generali – anche i medici militari;

– la formulazione dell’art. 210 COM introduce, però, una deroga al principio de quo, statuendo che ai medici militari “non sono applicabili le norme relative alle incompatibilità inerenti l’esercizio delle attività libero professionali, nonché le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il servizio sanitario nazionale” (seppure con la previsione di precisi limiti);

– la prescrizione in trattazione non disciplina – in verità – un istituto sconosciuto al settore sanitario. La disamina delle disposizioni che regolamentano la materia conduce, infatti, a riscontrare la facoltà per i medici incardinati in strutture sanitarie pubbliche di esercitare “attività libero professionale”, in deroga alla sistematica generale del pubblico impiego, per contemperare il diritto del medico ad esercitare tale attività con il parallelo diritto di scelta del singolo utente. Si tratta – comunque – di una regolamentazione complessa, tesa a salvaguardare, tra l’altro, gli interessi pubblicistici di cui è portatrice la struttura sanitaria e, pertanto, assoggettato a limitazioni di vario genere, oggetto di continua evoluzione nel tempo (come dimostrato dal d.lgs. n. 229 del 1999, c.d. Riforma Bindi, statuente un meccanismo retributivo premiale in caso di scelta di non avvalersi dell’“extramoenia”, con possibilità di esercizio della libera professione in regime di “intramoenia”, dal decreto legge n. 81 del 2004, convertito nella legge n. 138 del 2004, di reintroduzione della massima libertà di opzione e del diritto al primariato anche a favore degli extramoenisti o, ancora, dal decreto legge n. 158 del 2012, c.d. decreto Sanità, primariamente volto a regolamentare l’attività libero professionale intramuraria); – per quanto di rilevanza in questa sede, sempre la disamina di tale normativa conduce – comunque – ad affermare che l’attività libero professionale svolta dai medici incardinati nel SSN deve essere erogata nel rispetto dell’equilibrio tra attività istituzionali e libero professionali (tanto che risultano essere stati introdotti anche limiti quantitativi – cfr. art. 22 bis del decreto legge 223 del 2006), con predisposizione di piani e di controlli, senza, peraltro, trascurare l’intensificarsi di azioni di responsabilità da parte delle procure regionali contabili per la percezione, ritenuta “indebita”, di emolumenti in violazione dell’unicità del rapporto di lavoro con il SSN, riconosciuto anche in caso di dipendenti a tempo indeterminato dell’ASL che eroghino la propria prestazione in virtù di convenzioni con altre ASL (cfr., tra le altre, Corte dei Conti, Sez. I Giurisdizionale Centrale di Appello, n. 4 del 10 gennaio 2020). In base a quanto in precedenza illustrato, si è, pertanto, indotti ad affermare che il concetto di “attività libero professionali” non coincide con quello di lavoro autonomo, bensì ne costituisce – più correttamente – una modalità di estrinsecazione, identificandosi – propriamente – in un’attività economica, resa a favore di terzi, volta alla prestazione di servizi che presuppongono particolari conoscenze tecniche, conseguite – in genere – in esito al completamento di precisi percorsi di istruzione. In linea con quanto sostenuto dalla ricorrente, risulta doveroso riconoscere che l’attività libero professionale può ben essere resa anche a favore di ASL in virtù della stipula di apposite “convenzioni”, a cui le ASL sono, peraltro, solite fare ricorso per acquisire prestazioni aggiuntive e, dunque, ridurre le liste di attesa, fronteggiando, tra l’altro, spesso a carenze in organico. La natura di “attività libero professionale” della prestazione in tal modo resa dal medico trova – del resto – conferma nella giurisprudenza in materia, la quale ha avuto modo, anche di recente, di affermare che “il rapporto dei medici, che svolgono attività in regime di convenzione con le aziende sanitarie, configura un rapporto privatistico di lavoro autonomo-professionale con i connotati della parasubordinazione ed esula dall’ambito del pubblico impiego….. Corollario di tale configurazione è l’inapplicabilità al suddetto rapporto di disposizioni che presuppongono la natura subordinata del rapporto di lavoro”, senza, peraltro, attribuire rilevanza alcuna alla durata determinata o indeterminata del rapporto (Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 5 dicembre 2018, n. 31502; vedasi – in termini – C.d.S., Sez. III, n. 3876 del 2012 e n. 6119 del 2012). A quanto in precedenza riportato si ravvisa – in verità – la necessità di aggiungere che, in svariate pronunce, il giudice ordinario ha avuto modo di rilevare la carenza di una specificazione analitica a livello legislativo delle diverse tipologie di lavoro, utile a tracciare i confini tra le stesse in termini chiari e inequivoci, e, conseguentemente, di affermare che, per verificare specificamente la natura subordinata o autonoma del rapporto, risulta doveroso attribuire carattere dirimente non alla qualificazione del rapporto in sé e, dunque, al nomen iuris del contratto, bensì a una serie di indici, quale – in primis – l’assoggettamento del prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del soggetto a favore del quale la prestazione risulta resa (cfr. Cass., 21 luglio 2017, n. 18018; Cass., 16 dicembre 2013, n. 28025), in ragione dell’affermarsi non solo del principio per cui qualsiasi attività umana economicamente rilevante è suscettibile di essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo ma anche della constatazione che il comportamento delle parti, posteriore alla conclusione del contratto, può ben rivelare una diversa volontà delle parti, utile a mutare la natura del rapporto (cfr., ex multis, Cass., 6 marzo 2014, n. 5297; Cass., 9 gennaio 2014, n. 290; Trib. Milano, 11 settembre 2014; per completezza, vedasi anche le innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 81 del 2015). Per quanto attiene, poi, specificamente alla natura del “rapporto di lavoro del medico convenzionato”, è possibile osservare che – seppure si tratti di un rapporto “autonomo” – lo stesso è soggetto a istituti propri del lavoro subordinato, quali il potere direttivo e il potere disciplinare dell’ASL (cfr., in particolare, l’art. 30 dell’Accordo Collettivo Nazionale), con svilimento dell’autonoma che generalmente connota rapporti di tale genere. Tenuto conto di tali considerazioni, preme precisare, ancora, che:

– in base ai contenuti della relazione depositata in giudizio, il Ministero della Difesa sostiene la legittimità del proprio operato affermando, tra l’altro, che la doglianza concernente la violazione dell’art. 210 COM “appare inconferente”, atteso che “nel caso di specie, considerati i numerosi indici (predeterminazione del contenuto delle prestazioni e organizzazione degli strumenti produttivi da parte del datore di lavoro, nonché prestazione dell’attività lavorativa nei locali di quest’ultimo e assenza del rischio economico), l’attività di cui trattasi riveste i caratteri del lavoro subordinato e, come tale, sottoposta alla disciplina in materia di lavoro di cui al D.Lgs. n. 66/2003”; – preso – in altri termini – atto che l’Amministrazione tende a giustificare la decadenza dal rapporto di impiego per “incompatibilità”, disposta nei confronti della ricorrente, proprio in virtù dell’evidenza di indici ordinariamente ritenuti validi a escludere l’esercizio di un’attività libero professionale, a favore dell’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, diviene, pertanto, doveroso constatare che le asserzioni di cui sopra, afferenti la “qualificazione” del rapporto esistente la ricorrente e l’ASL, risultano prive di fondamento o, meglio, di un valido supporto probatorio e, anzi, si pongono in netta distonia con quanto rilevato dalla Guardia di Finanza, Nucleo Speciale Anticorruzione. Nella relazione redatta da quest’ultima, depositata in giudizio dalla ricorrente in data 19 marzo 2018 (cfr. all. 2), è dato, infatti, leggere che “l’attività libero professionale svolta dall’ufficiale medico Ten. Col. P. … rientra in quelle consentite dal sopra citato art. 210 del Codice dell’Ordinamento Militare”, seppure con la precisazione che tale attività “sia svolta al di fuori dell’orario di servizio, con modalità tali da non condizionare l’adempimento dei doveri connessi con lo stato di militare e non presenti profili di conflitto di interessi, anche potenziali” ma, in relazione agli indicati profili, non può che rilevarsi la mancanza di dati e/o elementi utili comprovarne l’avvenuto accertamento da parte dell’Amministrazione o, ancora, l’effettiva sussistenza;

– tralasciando il profilo inerente la violazione o meno dell’obbligo di comunicazione di cui all’art. 748 COM, anche perché, di esso, non si fa menzione nel provvedimento impugnato (a differenza di quanto riportato nella “diffida”), è evidente, dunque, come l’esercizio di un’“attività” ordinariamente riconosciuta e qualificata come “libero professionale” non possa costituire – di per sé o, meglio, in assenza del previo accertamento di elementi utili a configurare un’attività diversa, di carattere “subordinato” – un valido presupposto di fatto per l’adozione di un provvedimento di “decadenza” per incompatibilità ex art. 898 COM;

– le peculiarità che connotano il rapporto di lavoro del medico convenzionato determinano sicuramente l’insorgenza di problematiche ma, ad esse, appare possibile ovviare. A parte la constatazione che le controversie in materia risultano – per lo più – instaurate dagli stessi medici, per usufruire dei “benefici” connessi alla “subordinazione”, a tali fini appare possibile attribuire carattere dirimente alla formulazione dell’art. 210 COM, laddove estende l’inapplicabilità nei confronti dei “medici militari” anche delle “limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il servizio sanitario nazionale”. Orbene, la statuizione de qua – la cui introduzione nell’ordinamento è ben meritevole di essere ricondotta alla necessità di soddisfare specifiche esigenze – appare non solo confermare la facoltà per i medici militare di instaurare un rapporto in “regime di convenzione” ma anche configurare un regime giuridico particolare per tali medici, atto sì a salvaguardia l’autonomia di quest’ultimi ma anche a statuire il ruolo centrale – comunque – rivestito dall’Amministrazione di appartenenza (rectius: il Ministero della Difesa).

In sintesi, deve certamente convenirsi che ogni dipendente pubblico deve essere in condizione di espletare al meglio la propria prestazione lavorativa e, in relazione alla sussistenza di tale obbligo, riconoscersi la piena titolarità in capo al Ministero della Difesa del potere di vigilare in ordine alla compatibilità dell’eventuale svolgimento di attività extralavorativa con il corretto assolvimento dei “doveri d’ufficio”, in linea con la Circolare M_D GMIL 04_0396572 del 31 luglio 2008 (ma anche con i principi e gli obblighi fissati dalla normativa in materia di SSN); deve, però, anche convenirsi che l’espletamento di un incarico libero professionale in qualità di “specialista ambulatoriale convenzionata con il SSN”, ossia la mera instaurazione di un rapporto convenzionale con quest’ultimo, fuoriesce dal regime di “incompatibilità” dell’art. 894 COM e, pertanto, non vale in alcun modo – in carenza di elementi oggettivi e concreti, utili a dare prova dell’instaurazione di un rapporto di natura diversa, come nell’ipotesi in trattazione – a giustificare l’adozione di un provvedimento di decadenza ex art. 898 COM.. 3. Tanto è sufficiente per l’accoglimento del ricorso, con assorbimento degli ulteriori motivi di diritto formulati.

Autore: Anna Macchione - Ufficio Legislativo FNOMCeO

Documenti allegati:

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.