• Home
  • Archivio
  • Una Medicina con il Paziente al centro: intervista a Maurizio Benato

Una Medicina con il Paziente al centro: intervista a Maurizio Benato

Un nuovo modello di Medicina, fondato non solo sulle evidenze scientifiche o su un meccanicistico rapporto causa-effetto, ma su una vera Alleanza Terapeutica, dove si intersechino il vissuto, le storie, la cultura del Paziente e quelle del Medico.

È quanto la FNOMCeO auspica da tempo, anche attraverso diversi Convegni – da quello di Padova, “Pensare per la professione”, del 2009, a quello di Firenze, “Una Filosofia per la Medicina”, del 2012 – ai quali ha partecipato, in veste di promotore o di relatore, il suo vicepresidente, Maurizio Benato.

E sarà ancora Benato a rappresentare la Federazione nel Workshop “Sindrome fibromialgiaca, approccio convenzionale e non convenzionale” che a Padova, il 7 settembre, si occuperà di un altro argomento di estrema attualità: la Medicina integrata.

Un approccio terapeutico, quello della Medicina integrata, che diventa paradigmatico proprio di questo nuovo modo di intendere la Relazione di Cura, ponendo al centro il Paziente – come individuo nella sua complessità – e non il sintomo.

L’Ufficio Stampa è andato a indagare questi aspetti della moderna Bioetica proprio insieme a Maurizio Benato che, a Padova, presenterà la relazione dal titolo: “La Medicina tra sapere scientifico e modalità ermeneutica; l’esempio della Fibromialgia”.

Presidente, perché la Fibromialgia? In che modo questa patologia diventa esemplificativa di un ripensamento della Medicina e, in particolare, del passaggio dal mero Metodo scientifico alla modalità ermeneutica?
Una premessa è necessaria. Guardi, la Scienza non può spiegare ogni cosa. Bisogna ripensare la Medicina nei suoi scopi e nella sua prassi, bisogna ripensare questa disciplina intellettuale dedicata storicamente all’osservazione clinica, alla scoperta di nuove conoscenze in campo biomedico e alla loro applicazione pratica, per il miglioramento della Salute umana globalmente intesa.
Sinora, l’idea di riferimento è stata la scientificità nei confronti del mondo fisico della malattia, quindi la razionalità della conoscenza, ma oggi questo non basta più. Dobbiamo cogliere l’”attualità” della malattia, vale a dire quel concetto che contiene la complessità biologica della malattia stessa, quella del malato e del contesto in cui si trova a vivere.
Ma se la conoscenza scientifica non arriva a comprendere l’attualità, quale altra conoscenza è possibile? L’unica è quella ontologica, cioè quella che si prende in carico la riflessione, la comprensione, la ricerca di tutto quanto concerne l’attualità dell’essere e della persona, all’interno delle relazioni, delle contingenze e dei contesti.
E il luogo, l’occasione in cui conoscere l’attualità della persona malata, in cui servirsi non solo dei vari saperi disponibili, ma da cui ricavare conoscenze ontologiche è la Relazione di cura: al di fuori di essa, nessun tipo di ripensamento della Medicina è possibile.

Non sembra solo un ripensamento della Medicina, questo, ma un ripensamento del modo stesso di essere Medico…
È vero: questo nuovo tipo di conoscenza è orientata a plasmare e ad accrescere la sensibilità degli operatori, le loro abilità, la loro perspicacia, possiamo dire, con un termine filosofico, le loro “virtù”.
Questo, ovviamente, non può prescindere da nuovi modelli formativi per i futuri medici, che trasmettano loro, oltre a quelle scientifiche, anche le competenze non tecniche.
Per dirla con Gadamer, uno dei massimi esponenti dell’Ermeneutica contemporanea, bisogna pensare alla Medicina non come a una Scienza, ma come a un’”Arte della Salute”, che dia spazio a un medico che sia il “Guaritore ferito”, che condivida con il paziente il dolore insito nella natura umana, corporale, mortale.
Del resto, già Platone affermava che il medico non deve conoscere solo la natura del corpo del paziente ma anche quella della sua anima.
I pazienti oggi sono resi passivi di fronte al sintomo, che viene eliminato con la somministrazione di un farmaco. Per Gadamer, invece, è bene non nascondere il sintomo, che servirà al medico e al paziente per interpretare la sua salute e ristabilire l’armonia nel suo corpo.

Principi, questi, che coincidono con quelli di molte Medicine complementari.
Certamente. In quest’ottica, per la quale il Sapere medico deve confrontarsi con altri Saperi, assai diversi ma altrettanto efficaci, non possiamo più permetterci di attribuire un ruolo universale e una validità preferenziale alla Medicina occidentale.
La “contestualizzazione” della condizione patologica mette in crisi il binomio “Malattia-Salute” così come si è evoluto nella nostra cultura, sino a rendere ambiguo lo stesso concetto di Malattia, tanto che non esiste una definizione comunemente accettata dalla totalità dei medici e degli operatori sanitari.
Nell’attuale “creolizzazione” delle culture, inoltre, non si può in alcun modo giustificare, dal punto di vista medico, il rifiuto di una pratica che si dimostri efficace, anche se non ne risulti ancora chiaro il meccanismo d’azione o sia carente la spiegazione della sua efficacia.
Ecco allora che, di fronte a situazioni patologiche inedite e scarsamente decifrabili per mezzo delle analisi cliniche e della diagnostica strumentale, il medico può rifarsi all’antico criterio dei remedia ex juvantibus, costruendo la terapia – prima ancora di individuare l’eziologia della malattia e di ricostruirne la patogenesi – su quegli approcci che si dimostrino efficaci.

E torniamo alla Fibromialgia.

L’esempio della Fibromialgia è calzante. Tale Sindrome è considerata dalla medicina allopatica una delle malattie reumatiche in assoluto più diffuse: solo in Italia si stima ne siano affetti oltre quattro milioni di persone, in maggioranza donne.
È una malattia subdola, spesso misconosciuta, perché chi ne è affetto non sembra ammalato: ha un aspetto sano e anche le analisi e le indagini di laboratorio non presentano alterazioni.
Per questo il malato non viene “preso sul serio” dai familiari, dagli amici, a volte neppure dal medico. Questa incomprensione si aggrava nell’ambiente di lavoro, dove il soggetto diventa vittima di vessazioni e di vero e proprio “mobbing”.
Numerosi studi hanno indagato le connessioni tra i sistemi nervoso, endocrino, immunitario nell’eziopatogenesi della Fibromialgia. A questo va aggiunto l’aspetto cognitivo, che media il dolore e gli altri sintomi attraverso la neuromatrice e il vissuto psichico.
La Medicina scientifica mostra, in questa patologia, tutti i suoi limiti, per quanto riguarda la spiegazione, la tassonomia, la terapia.
Diventa allora preminente la valutazione ermeneutica del singolo caso, per cui ogni opera di “sanatoria” diventa, appunto, un’”opera artistica del medico”.

Gli insegnamenti da trarre, allora?
Da queste considerazioni emerge che la Biomedicina è solo una delle modalità con le quali interpretare la Malattia.
Integrare le varie discipline significa dunque far interagire le diverse conoscenze e metodi, alla ricerca, innanzitutto, di un linguaggio comune, condiviso e, conseguentemente, di un modello di Medicina che riposizioni finalmente la Persona al centro dei suoi percorsi culturali, comunicativi e operativi.

Autore: Redazione FNOMCeO

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.