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Benato: “Il futuro della Sanità sempre più proiettato verso l’Assistenza Primaria”

L’Assistenza Primaria come cardine intorno al quale dovrebbe ruotare il nuovo Sistema Sanitario. Un tema che abbiamo affrontato con Maurizio Benato, vicepresidente della FNOMCeO, in occasione del suo intervento alla cerimonia di presentazione del volume “L’Assistenza primaria in Italia – Dalle condotte mediche al lavoro di squadra” opera prima del GISAP,
Gruppo Indipendente per lo Studio dell’Assistenza Primaria (leggi qui).

Dottor Benato, in che misura l’attuale crisi economica potrà
incidere negativamente sull’equità e universalità delle cure che oggi
caratterizzano il nostro SSN ?

“Le economie
occidentali e in particolare quelle europee, stanno vivendo una
stagione di preoccupante rallentamento che inevitabilmente si
rifletterà sul Welfare State. Nel contesto europeo l’Italia è il
fanalino di coda tanto che il Pil crescerà, nella migliore delle
prospettive, del 10/12% nel prossimo decennio mettendo in discussione
gli attuali livelli delle “prestazioni socio–sanitarie. Di fronte a
tale cambiamento epocale si devono ricercare e condividere posizioni
comuni per fronteggiare una dinamica della spesa sanitaria che non
conoscerà flessioni di sorta”
.

Quali, a suo avviso, le cause che determinano il costante incremento della spesa per la salute?

“I
motivi dell’aumento della spesa devono essere ricercati prima di tutto
nell’aumento esponenziale della popolazione anziana, fenomeno che
accresce il numero delle patologie cronico degenerative, che richiedono
modelli/regimi assistenziali a lungo termine. L’altro elemento è
l’intenso e vorticoso divenire del progresso scientifico e tecnologico
che mette a nostra disposizione cure sempre più sofisticate ma costose,
senza dimenticare l’aumento progressivo e consistente delle aspettative
di salute individuali indotto anche dai media.
Tale scenario, come è
facilmente immaginabile, rende necessario e non più differibile un
nuovo orientamento dei modelli assistenziali basato sull’innovazione e
la modernizzazione non solo organizzativa, che ridefinisca i rapporti
con il cittadino anche in relazione all’assistenza fornita sul
territorio e proceda alla ristrutturazione e la riqualificazione della
rete ospedaliera ed extraospedaliera”
.

Il futuro della sanità sembra essere sempre più proiettato verso un’assistenza territoriale ?

“Direi
di sì. È ormai convinzione diffusa che con la valorizzazione
dell’assistenza primaria (medici di medicina generale, pediatri ecc.)
l’ospedale conserverà il suo ruolo cardine nel futuro dell’assistenza,
ma limitato alla sua dimensione. Per rispondere a tale prospettiva
occorrerà tuttavia una ineludibile inversione del processo
assistenziale alla persona, che persegua la continuità assistenziale e
una rete a forte integrazione socio-sanitaria. Ecco quindi la necessità
di avviare l’ assistenza domiciliare e ambulatoriale e sistemi di
assistenze residenziali extraospedaliere e residenziali ospedaliere,
nell’ambito di un Sistema Socio-sanitario che ponga al centro delle
proprie prospettive l’epidemiologia della popolazione di riferimento,
strutturandola sugli standard più elevati delle attuali specifiche
conoscenze”.

In questo nuovo scenario assistenziale dovrà essere ripensata anche la figura del medico di medicina generale?

“Il
ruolo che il medico di medicina generale svolge è di importanza
strategica nel SSN. I servizi territoriali attualmente coprono circa il
90% delle prestazioni erogate. Per quanto gran parte delle prestazioni
richieste dai cittadini spesso non comportino attività di particolare
complessità, anche il solo spostamento del 5% verso il 2° livello (cure
specialistiche) determinerebbe, di fatto, un aumento di circa 40.000
prestazioni giornaliere con conseguente allungamento delle liste di
attesa e peggioramento della qualità offerta e percepita.
Nonostante
ciò la Medicina Generale, ma in generale tutti i servizi territoriali,
soffrono della mancanza di retroterra culturale comune causato
specificatamente  dall’assenza di un insegnamento universitario ad
essa  dedicato. Bisogna tener presente, infatti, che la MG è
“disciplina”, che non nasce “per sottrazione” da altre discipline
apprese dallo studente, ma come un insieme di contenuti specifici della
Medicina Territoriale che non si sovrappongono al “sapere” medico
tradizionale appreso nelle corsie degli ospedali, ma lo integrano”
.

Sarà quindi necessario ripartire dal suo percorso formativo …

“Il
nuovo Esame di Stato per l’accesso alla professione medico-chirurgica
che prevede, per il superamento della prova, un tirocinio valutativo di
un mese presso un ambulatorio di medicina generale, ha ancora una volta
messo in evidenza la necessità di rendere appropriata la collaborazione
fra Corso di Laurea in Medicina e MG. Non solo, ma l’assenza di una
strutturazione dell’insegnamento della medicina generale a livello
universitario ha ingenerato la pericolosa sensazione che le cure
primarie non necessitino di un Know-how professionale specifico,
sensazione presente tra i responsabili amministrativi e anche  tra gli
operatori. In realtà, nel momento in cui gli ospedali saranno sempre
più rivolti alla fase di acuzie della malattia ed alla giusta ricerca
di interventi sempre più di eccellenza, verrà riversata sul territorio
tutta una serie di problematiche complesse in precedenza risolte in
ambito specialistico.
Tale situazione potrebbe essere superata con
la creazione di un dipartimento di Medicina Generale, diretto da un
medico di medicina generale, in collaborazione con gli Ordini, le
Università e le Regioni, che possa accomunare l’insegnamento di base
per tutti gli operatori che lavorano nel territorio
. Oltre ad
essere deputata all’insegnamento questa struttura dovrebbe formare i
tutor per i tirocini pratici in fase pre-laurea, (per gli studenti di
medicina, scienze infermieristiche e nelle specializzazioni mediche che
richiedono un tirocinio pratico sul territorio);  per il tirocinio
abilitante alla professione e per il corso triennale di formazione
specifica in Medicina Generale. Il Dipartimento dovrebbe inoltre
coordinare i medici di famiglia impegnati in attività di ricerca
epidemiologica e farmacologica”
.

Questa nuova realtà professionale – dottor Benato
sarà dunque caratterizzata da una nuova organizzazione e gestione dei
servizi e da una diversa formazione degli operatori sanitari ?

“I
medici di medicina generale saranno chiamati sempre di più a operare in
strutture assistenziali associate esercitando in equipe con il supporto
di una adeguata dotazione di personale infermieristico in grado di
assicurare una più efficace assistenza domiciliare continua e diffusa.
Un sistema di strutture intermedie (strutture di ricovero ‘zonali’ a
bassa tecnologia) dirette dai medici di famiglia dovrebbe  mantenere la
continuità assistenziale dando concretezza al  passaggio dal “to cure”
al “to care”, dove la persona bisognosa di aiuto può essere curata
nell’ambito della sua famiglia e della sua condizione ambientale. É in
questa prospettiva che l’insegnamento della medicina generale si
dimostra irrinunciabile nel processo formativo dello studente e per la
professione del medico di famiglia”
.

Il futuro del medico di medicina generale è quindi nell’associazionismo ?

“Le
potenzialità dell’associazionismo, nelle sue diverse forme di
cooperazione  previste negli accordi  di categoria,  non sono state
ancora  apprezzate. Siamo di fronte, a mio avviso, ad un salto di
qualità  nel modo di organizzare il lavoro del medico di famiglia,
capace di  migliorare l’incisività e  la qualità delle prestazioni  e
fare acquisire al medico generalista  nuova dignità e rispetto da parte
delle altre discipline”
.

Come dovrebbe avvenire l’integrazione territorio-ospedale ?

“L’integrazione
dovrebbe configurarsi in termini di complementarietà pianificata e
organizzata di interventi afferenti a competenze istituzionali e/o ad
ambiti assistenziali o professionali distinti.
Secondo l’OMS, la
continuità delle cure è uno degli indicatori più sensibili del buon
funzionamento di un Servizio Sanitario, perché aggiunge al tradizionale
concetto di cura quello della presa in carico del paziente ai diversi
livelli della rete assistenziale tra territorio e ospedale.
L’integrazione
richiede la costituzione di centri cure intermedi  quali  sedi di
servizi integrati, sanitari e sociali–domiciliari, residenziali e
semi-residenziali, finalizzati a garantire la continuità assistenziale
dopo la dimissione ospedaliera e a favorire il rapido recupero
funzionale e la massima autonomia dei pazienti.
Un progetto di cura
la cui realizzazione è basata su un rapporto collaborativo/formativo
fra operatori ospedalieri, medici di medicina generale/pediatri di
libera scelta e operatori dei servizi territoriali, nonché il
coinvolgimento degli specialisti. Il rafforzamento di questa area
assistenziale potrebbe favorire inoltre la prevenzione dei ricoveri non
necessari e/o impropri”
.

Non si corre il rischio di creare sovrapposizioni di competenze?

“L’integrazione
deve essere attuata definendo in modo chiaro le competenze e le
responsabilità, sia nel territorio che nell’ospedale. Questo può
avvenire superando la frammentazione e l’erogazione di prestazioni e
privilegiando la realizzazione di percorsi assistenziali integrati; con
la promozione del sistema degli obiettivi aziendali; attraverso
l’organizzazione di eventi formativi multidisciplinari e trasversali
tra ospedale e territorio e condividendo procedure  e strumenti
operativi. La Medicina delle Cure Primarie, chiave di volta della
continuità assistenziale, deve diventare uno specifico livello
essenziale di assistenza cui dovrà afferire la maggioranza delle
patologie la cui “presa in carico” deve essere compito del medico di
famiglia.
Questo ultimo deve essere valorizzato, ma al contempo va
responsabilizzato rispetto al corretto utilizzo delle risorse
pubbliche. In sintesi si tratta di dare applicazione uniforme ed
equamente ordinata al generale principio del “rendere conto” da parte
di chiunque usi risorse pubbliche, interfacciando e monitorando nel
tempo i comportamenti individuali dei professionisti per metterli in
relazione/confronto con le risorse assegnate per la soddisfazione dei
bisogni specifici dei loro assistiti”
.

E per quanto riguarda la riorganizzazione della rete ospedaliera ?

“La
struttura ospedaliera deve evolvere sempre di più verso un centro di
servizi e sempre di meno verso un centro di degenze. Occorre inoltre
superare la situazione di eccesso di strutture ospedaliere che erogano
i medesimi servizi, inefficace quanto a risultati di salute e
dispendiosa quanto a risorse assorbite. Fondamentale sarà la
definizione, per i prossimi decenni, di un modello di assistenza
ospedaliera in grado, da un lato, di rispondere compiutamente e
completamente ai criteri di sicurezza e ai principi di qualità delle
prestazioni erogate, e dall’altro di essere in possesso dei
requisiti/standard strutturali, organizzativi e funzionali previsti
dalla specifica normativa.
Quindi, poche sedi ospedaliere per acuti
e le urgenze con elevate tecnologie e competenze professionali e, di
contro, nosocomi per le cure di patologie croniche a forte integrazione
socio-sanitaria con sedi più diffuse sul territorio”
.

 

Autore: Redazione FNOMCeO

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