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Corte di Cassazione Civile: ginecologo e danno da “nascita indesiderata”

CORTE DI CASSAZIONE CIVILE – Il ginecologo non risponde in automatico del danno cosiddetto da nascita indesiderata. Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell’esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza, poiché tale prova non può essere desunta dal solo fatto della richiesta di sottoporsi ad esami volti ad accertare l’esistenza di eventuali anomalie del feto (sentenza nr. 12264/14).

FATTO: —- e —- convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Tolmezzo, la ASL —- Alto Friuli, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati dal negligente compimento della propria attività professionale da parte dei sanitari della struttura. Esposero gli attori che, nell’—–, —– si era recata presso l’ospedale di —–, dove, appreso del suo stato di gravidanza, era stata invitata a seguire un programma di controlli ginecologico, radiologico ed ecografico cui si era scrupolosamente attenuta. In occasione di ciascuno dei previsti controlli, le era sempre stato assicurato che il feto era normale e che tutto procedeva secondo norma. Ciò nonostante, nel novembre del 1997, sarebbe venuto alla luce un bimbo privo di due dita ed affetto da ipoaplasia congenita del femore sinistro. Gli attori imputarono, pertanto, ai sanitari un duplice profilo di responsabilità, sotto l’aspetto sia del difetto di informazione, sia della non corretta esecuzione o interpretazione degli esami che avrebbero potuto svelare per tempo la malformazione. Il giudice di primo grado respinse la domanda, ritenendo oggettiva la impossibilità di individuare la patologia attraverso una ecografia c.d. morfologica, eseguita in ventunesima settimana dal ginecologo, al quale non ritenne parimenti addebitabili ulteriori profili di negligenza quanto alla mancata rilevazione della anomala lunghezza del femore, atteso che la corretta scienza medica prevedeva la misurazione di uno soltanto dei quattro arti (operazione, nella specie, diligentemente compiuta senza che fosse venuta in rilievo una qualsiasi anomalia). La sentenza della Corte territoriale è stata impugnata da —- e — con ricorso per cassazione sorretto da due motivi di censura. Si sono costituiti in questa sede con controricorso illustrato da memoria sia la Asl —–, sia il ginecologo curante, Dott. —-.

DIRITTO: La Corte Suprema di Cassazione ha rilevato che nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell’esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza, poiché tale prova non può essere desunta dal solo fatto della richiesta di sottoporsi ad esami volti ad accertare l’esistenza di eventuali anomalie del feto. La richiesta di uno o più accertamenti diagnostici in corso di gravidanza, ove non espressamente e specificamente finalizzata alla verifica di eventuali anomalie del feto ed alla conseguente interruzione, costituisce un indice niente affatto univoco della volontà di avvalersi della facoltà di interrompere la gestazione in presenza di anomalie, in quanto innumerevoli sono le ragioni che possono spingere una donna e una madre, anche se soltanto futura, ad esigere – e il medico a prescrivere – quegli accertamenti, a partire dalla elementare volontà di gestire al meglio la gravidanza indirizzandola verso un parto che, per le condizioni i tempi ed il tipo, risulti il più consono alla nascita del figlio, ancorché malformato.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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