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Corte di Cassazione Penale: esercizio abusivo della professione e abitualità della condotta

CORTE DI CASSAZIONE PENALE – Esercizio abusivo della professione di medico-odontoiatra e abitualità della condotta. Il delitto di cui all’art. 348 c.p., ha natura di reato eventualmente abituale: ove si tratti di atto attribuito in via esclusiva al soggetto regolarmente abilitato è rilevante, per l’integrazione degli estremi del reato, anche il compimento di un solo atto di esercizio abusivo della professione e quest’ultimo segna il momento consumativo del delitto (sentenza nr. 15894/14).

FATTO: E.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, in data 8-4-13, con la quale è stata confermata, in punto di responsabilità, la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all’art. 348 c.p. per avere, in qualità di odontotecnico e amministratore del "Centro Dentale —-" srl, esercitato abusivamente la professione di medico odontoiatra. In (OMISSIS).2. Il ricorrente deduce omessa motivazione in merito all’insussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p. e prescrizione del reato poiché, trattandosi di reato istantaneo, i giudici di merito avrebbero dovuto porsi il problema dell’eventuale maturazione del termine prescrizionale in relazione ai singoli episodi per i quali risultava accertata la penale responsabilità del ricorrente. Ove le risultane acquisite non avessero consentito di individuare i singoli episodi di consumazione del reato, i giudici di merito avrebbero dovuto provvedere ex 521 c.p.p., mancando la necessaria correlazione fra accusa e sentenza. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

DIRITTO: La Corte Suprema di Cassazione ha affermato che “il concetto di esercizio professionale contiene in sé un tendenziale tratto di abitualità, da cui è corretto prescindere a fronte di atti che l’ordinamento riservi come tali, nell’interesse generale, a chi sia in possesso di una speciale abilitazione, onde, in questi casi, il reato di cui all’art. 348 c.p. si perfeziona anche uno actu. Ma il requisito dell’abitualità va recuperato laddove vengano posti in essere, come nel caso in disamina, più atti riservati a chi sia in possesso della prescritta abilitazione. In questi casi si risponde comunque di un unico reato e non di una pluralità di reati, avvinti dal vincolo della continuazione. In altri termini, il delitto di cui all’art. 348 c.p., ha natura di reato eventualmente abituale: ove si tratti di atto attribuito in via esclusiva al soggetto regolarmente abilitato è rilevante, per l’integrazione degli estremi del reato, anche il compimento di un solo atto di esercizio abusivo della professione e quest’ultimo segna il momento consumativo del delitto; ma la reiterazione degli atti tipici da pur sempre luogo ad un unico reato, il cui momento consumati vo coincide con l’ultimo atto e dunque con la cessazione della condotta. Nel caso in disamina, l’ultimo atto è stato compiuto il (OMISSIS), onde il delitto contestato si è consumato in tale data: da essa decorre dunque il termine prescrizionale massimo, di anni sette e mesi sei, che, pertanto, non è trascorso, ragion per cui il reato non è prescritto”.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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