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Etica dell’organizzazione – Le riflessioni di Maurizio Grossi

Oggi l’etica dell’organizzazione è un tema di fondamentale importanza. Segna una strada su cui viaggia la responsabilità delle scelte: le scelte migliori che possiamo fare nell’interesse della tutela della salute del cittadino. Ma quando si parla di etica dell’organizzazione innanzitutto dobbiamo richiamare un principio di fondo che è quello della condivisione dei valori sui cui si deve basare, in senso più completo e partecipato, l’atto della cura: non dimentichiamo infatti che la sanità è innanzitutto la cura del malato.

Sono essenzialmente tre gli argomenti su cui possiamo focalizzare l’attenzione quando parliamo di etica dell’organizzazione: l’assistenza del paziente, come percorso dalla nascita fino alla morte; l’etica della gestione finanziaria, quindi l’etica economica che impone una principio di trasparenza minuziosa. E i rapporti e le dinamiche contrattuali in sanità poiché se una azienda sanitaria attiva al suo interno contratti non in risonanza con queste regole non possiamo definirla etica, né tanto meno vicina ai principi di base del pensiero etico. Una organizzazione è etica se innanzitutto tutela le figure professionali sanitarie che vi operano. Questo vuol dire aderire al principio in modo completo: perché l’attenzione non deve essere rivolta solo a chi è curato ma anche a chi presta la cura. L’attenzione alle organizzazioni è un punto focale perché chi lavora deve essere tutelato con contratti opportuni e coerenti che garantiscano le condizioni di dignità del lavoro: questo assunto etico dovrebbe attivare riflessioni attente in chi amministra perché si tratta di una visione di sistema.

I temi di cui si discute a Rimini hanno necessariamente una ricaduta nel dibattito politico-culturale ed anche ordinistico: chi compie una scelta sa che essa ha delle conseguenze dirette e indirette e per questo è necessario sollecitare la massima consapevolezza sugli atti quotidiani, quelli che non fanno clamore ma che sostanziano la nostra professione. Spesso si tratta di gesti che rimangono per così dire “dietro le quinte” ma che sono i veri attivatori dei cambiamenti. Cioè la professione del quotidiano.

La Conferenza pone la domanda su quale medico ci aspettiamo per il futuro. Credo che sia necessario innanzitutto partire da una revisione della formazione pre e post-laurea per mettere a fuoco il futuro della medicina e aprire un possibile campo prospettico. I medici del futuro, i giovani medici, vanno guidati su percorsi nuovi con contenuti innovativi nella formazione pre-laurea, in particolare per quanto riguarda la fase importantissima dell’addestramento sul campo, dell’esperienza diretta che è un’opportunità professionalizzante. In particolare per il IV e V anno, questa conoscenza diretta dei contesti, oltre alla teoria che va rivista secondo nozioni più moderne, attiva un’esperienza concreta di aderenza alla realtà che è imprescindibile e che oggi manca.

Nella fase post-laurea credo invece che ci sia da impostare un percorso più articolato per provare ad innovare anche il delicato equilibrio che fonda il rapporto medico-paziente. Oggi si registra un vuoto rilevante su alcuni aspetti importantissimi della relazione che vengono trascurati: ad esempio le abilità di comunicazione che attingono a pieno titolo al tema dell’etica ma che ancora oggi sono considerate quasi accessorie. Invece le skills comunicative sono necessarie innanzitutto per migliorare e far evolvere il rapporto medico-paziente anche alla luce delle innovazioni dei linguaggi; in secondo luogo affinano la postura dell’agire verso una efficace situazione di leadership. E allora si può capire che una medicina del futuro dovrebbe includere aspetti di managemement, leadership e comunicazione per poter far veramente decollare l’identità del medico di domani. C’è poi, non ultimo, il problema della programmazione dei numeri: ci dobbiamo chiedere quanti saranno i medici. Troppi o troppo pochi? I numeri oggi sono certamente inadeguati per le necessità del Paese. La strada è una laurea professionalizzante che abbrevi il percorso con un programma unificato.

E allora se ci chiediamo quale medico si presenta al futuro dobbiamo chiederci quale medico siamo in grado di formare e consegnare al futuro. Se l’obiettivo è un nuovo medico per una medicina in evoluzione: i modelli vanno trasformati e potenziati per non rischiare l’autoreferenzialità e l’implosione.

Maurizio Grossi

Autore: Redazione FNOMCeO

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