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Norme in materia di procreazione medicalmente assistita

Corte Costituzionale  – Norme in materia di procreazione medicalmente assistita – La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche. La Corte Costituzionale ha affermato che la normativa denunciata costituisce, pertanto, il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell’ordinamento – ed è lesiva del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o l’altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria – nella parte in cui non consente, e dunque esclude, che, nel quadro di disciplina della legge in esame, possano ricorrere alla PMA le coppie affette da patologie siffatte, adeguatamente accertate, per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata.(Sentenza n. 96/15)

FATTO: Giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promossi dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanze del 15 gennaio e del 28 febbraio 2014, iscritte ai nn. 69 e 86 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 21 e 24, prima serie speciale, dell’anno 2014. Il Tribunale ordinario di Roma dubita che le riferite disposizioni – nella parte in cui non consentono che anche le coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili possano fare ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (da ora in avanti, PMA) ‒ violino gli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, nonché l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU).

DIRITTO: Secondo il rimettente, la normativa censurata − non consentendo l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche alle coppie (come quelle innanzi a sé ricorrenti) che, pur non sterili od infertili, rischierebbero, comunque, di procreare figli affetti da gravi malattie genetiche trasmissibili, di cui uno od entrambi i componenti della stessa risultano portatori – contrasterebbe, infatti, con il diritto inviolabile della coppia ad avere un figlio “sano” e con il diritto ad autodeterminarsi nella scelta procreativa; violerebbe, inoltre, il diritto alla salute (fisica e psichica) della donna (costretta a subire l’interruzione volontaria della gravidanza nel caso di accertata trasmissione al feto di patologie genetiche); contrasterebbe, ancora, con il principio di ragionevolezza, con riferimento al quadro normativo risultante dalla combinazione di detta legge n. 40 del 2004 con la legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza); comporterebbe, infine, una indebita e non proporzionata ingerenza nella vita privata e familiare delle coppie suddette, in violazione anche dei citati artt. 8 e 14 della CEDU e, quindi, per interposizione, dell’art. 117, primo comma, Cost.Nel merito, la questione è fondata, in relazione al profilo – assorbente di ogni altra censura – che attiene al vulnus effettivamente arrecato, dalla normativa denunciata, agli artt. 3 e 32 Cost. Sussiste, in primo luogo, un insuperabile aspetto di irragionevolezza dell’indiscriminato divieto, che le denunciate disposizioni oppongono, all’accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette (anche come portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili (secondo le evidenze scientifiche) di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni. E ciò in quanto, con palese antinomia normativa (sottolineata anche dalla Corte di Strasburgo nella richiamata sentenza Costa e Pavan contro Italia), il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali – quale consentita dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) − quando, dalle ormai normali indagini prenatali, siano, appunto «accertati processi patologici […] relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».La normativa denunciata costituisce, pertanto, il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone di razionalità dell’ordinamento – ed è lesiva del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o l’altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria – nella parte in cui non consente, e dunque esclude, che, nel quadro di disciplina della legge in esame, possano ricorrere alla PMA le coppie affette da patologie siffatte, adeguatamente accertate, per esigenza di cautela, da apposita struttura pubblica specializzata. Ciò al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro, alla stregua del medesimo “criterio normativo di gravità” già stabilito dall’art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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