Quote rosa in rottamazione? La parola all’europarlamentare Lara Comi

Le famose quote rosa considerate in un determinato contesto storico – sociale una conquista “ di genere” destinate a garantire alle donne le famose pari opportunità, si stanno rivelando un vero e proprio danno per l’altra metà del cielo.
Le varie leggi in europa e fuori che hanno imposto una parità numerica (50 e 50) di fatto, vista l’esplosione demografica delle donne e il loro forte impegno in alcune professioni intellettuali (medicina, psicologia), potrebbero discriminare quelle brave e determinate. Esse si vedrebbero respinte perché in eccesso rispetto alla parità assoluta prevista per legge. Gli effetti pratici appaiono dunque diversi rispetto alle varie leggi che si prefiggevano l’obiettivo di non discriminare.

Le donne della civile e moderata Svezia hanno da tempo chiesto di abolire la legge del 2003, o quanto meno di modificarla, in quanto essa ha sortito gli effetti esattamente contrari rispetto alle reali intenzioni del legislatore.
In altra parte del Mondo, in India, sta (dopo lunghe rivendicazioni) per essere introdotta una riserva alle donne pari al 33% dei seggi del Parlamento che passeranno da 61 a 181.

Ma in questa realtà culturale sarà difficile trovare donne sufficientemente preparate per ricoprire la quota stabilita. Due casi estremi che richiedono una riflessione sul futuro della questione quote rosa che sono recentemente e prepotentemente tornate alla ribalta nel corso di una cerimonia per la premiazione di cinque giovani ricercatrici con le borse di studio l’Oreal Italia – Unesco “ Per le donne e la scienza”.

L’Eurodeputata Lara Comi (PPE – Democratici), ha affermato che le quote rosa nel mondo della ricerca per garantire la presenza delle donne “non sono la strada giusta”. Le quote rosa sono un cerchio ristretto e l’inglobamento delle donne in una percentuale non è corretto. Le quote rosa un tempo utili per porre l’attenzione sulla donna sono oggi dunque tramontate? Lo abbiamo chiesto alla stessa Eurodeputata.

Onorevole Comi, le quote rosa, dunque, non sono più la strada giusta per assicurare un futuro a tutto tondo alle donne impegnate nelle professioni o nella politica?
Il percorso d’uguaglianza e di parità tra uomini e donne in Italia è complesso, difficile e non del tutto realizzato. Procede con una lentezza superiore rispetto agli altri Paesi europei, se pur scandito da tappe importanti che hanno permesso di raggiungere traguardi, fino a qualche anno fa, impensabili. Dobbiamo accontentarci? Assolutamente no. Tuttavia non bisogna forzare tale processo ma accompagnarlo e sostenerlo.
Sono contraria alle quote rosa perché istituzionalizzano una disuguaglianza, indeboliscono la valorizzazione del merito, la condivisione dei diritti, rendono la donna, una “diversity” da tutelare. Credo molto nel fatto che i partiti debbano favorire la formazione di una classe dirigente al femminile non improvvisata, né considerata come riempitivo.

Come aiutare le donne a coniugare la vita lavorativa con quella famigliare?
I sistemi di welfare devono incoraggiare il lavoro. Per fare ciò il lavoro non deve incidere negativamente sui tempi di vita né pregiudicare valori, la cui realizzazione è essenziale per una società bene ordinata. E’ importante affrontare i temi vecchi e nuovi della tutela del lavoro femminile. Una politica ben strutturata per le famiglie non può che incoraggiare la partecipazione e aumentare la probabilità che i giovani decidano di avere figli. L’assistenza all’infanzia è, a tal fine, fondamentale.Se non esiste un’assistenza sicura e a costi accessibili, le madri avranno pochi incentivi a lavorare. Anche gli assegni per i figli, che coprono alcune delle spese dei genitori, sono importanti, così come un sistema fiscale individuale che eviti di imporre le tasse marginali più alte al reddito più basso nella famiglia.Il Governo Italiano ha stanziato 25 milioni di euro per aprire mille nidi aziendali negli uffici pubblici. L’obiettivo in dieci anni è di arrivare a una copertura di 80-100 mila bambini da 0 a 3 anni, riservando una fetta di posti a bambini esterni alla Pubblica Amministrazione. Altri 40 milioni sono destinati alla formazione di babysitter di condominio, voucher per famiglie a basso reddito, cooperative di servizi per l’infanzia e, infine, telelavoro.Non saranno certo solo gli incentivi economici a far nascere più bambini, ma se un’ampia percentuale della popolazione giovane ritiene di non potersi permettere di crescere i propri figli (dedicando a essi il tempo necessario per un’educazione che impegni entrambi i genitori) e che la madre debba accantonare le proprie aspirazioni lavorative, allora, per far risalire i tassi di nascita, sarà necessario ridurre i disincentivi anche attraverso una contrattazione sociale territoriale

Nel 2008 – 2009 in molte professioni (es. medici) le donne hanno effettuato il “sorpasso” sia nelle immatricolazioni che nel conseguimento delle lauree. Come assicurare dunque loro un futuro diverso al di là delle quote rosa?
Il futuro è certamente al di là delle quote rosa.I dati che emergono dai rapporti Unesco, sono espliciti: l’impegno delle donne nel mondo dell’università inizia con una netta prevalenza nelle iscrizioni (circa 57%), con punte del 65% in alcune facoltà scientifiche (Medicina e Farmacia) e aumenta, ancor più, nella percentuale di conseguimento delle lauree per poi calare, in modo evidente, nelle fasi successive. Un fenomeno che si conferma in modo quasi speculare nell’Unione Europea dove dal 59% delle donne sul totale dei laureati, si passa al 42% (di donne) nella qualifica di ricercatore diminuendo verticalmente sino a un numero inferiore al 20% nella posizione di professore ordinario.Il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha recentemente istituito una Commissione di studio per la valorizzazione della componente femminile nel campo della ricerca scientifica e tecnologica, nell’intento di prospettare e attivare misure e proposte idonee, anche in considerazione dei programmi e delle iniziative avviate in tale direzione in ambito nazionale ed europeo.Nell’ambito delle azioni dell’ERA è stato pubblicato, nel 2009, il rapporto "She Figures", un prezioso approfondimento – panorama sulla condizione femminile nel settore della ricerca Europea. La presentazione è coincisa con il decimo anniversario del Gruppo di Helsinky – Donne e Scienza-, attraverso il quale gli stati membri dell’U.E. collaborano per superare le diseguaglianze di genere in ambito scientifico. Nel “Quadro strategico nazionale” per la politica regionale di sviluppo 2007-2013, si rileva, che le strategie e gli interventi devono essere rivolti a ridurre i fenomeni di "vischiosità verticale" che impediscono alle donne di raggiungere posizioni apicali e che determinano una vera e propria situazione di sottorappresentanza femminile in ruoli e livelli di responsabilità.La soluzione potrebbe essere nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che sta assumendo un’importanza sempre più crescente. Le trasformazioni in atto nelle strategie di vita e nelle identità delle donne e degli uomini (soprattutto giovani), come le modificazioni nel mercato del lavoro, rendono il tema della conciliazione un problema che non può essere lasciato alla capacità equilibristica delle donne, degli individui, ma che chiama a coinvolgimento l’intero sistema sociale nel suo complesso. E’ importante rafforzare la capacità programmatoria orientata a favorire l’integrazione tra le politiche di sostegno all’occupazione femminile nel territorio, le politiche sociali dei servizi e quelle legate all’Istruzione, l’organizzazione degli orari e le politiche di conciliazione familiare.

Come dovrebbero essere modificate le varie leggi sulle quote rosa per migliorare la qualità della vita delle donne?
Non credo che la modifica della legge possa apportare significativi miglioramenti ed è incontestabile che sia limitato l’interesse femminile per un impegno diretto in politica. Lo si misura non solamente nel numero di donne in parlamento, ma più significativamente nella presenza minoritaria delle donne nell’attivismo politico di base, anche laddove non esiste alcuna forma di barriera all’ingresso – basti pensare all’impegno politico telematico (blog, forum, Facebook, etc.).Le quote rosa non sono un antidoto al velinismo ma ne sono semmai l’istituzionalizzazione. L’alternativa è il libero mercato della politica, nel quale le donne che vogliono fare politica devono essere pronte ad accettare una competizione in campo aperto con i candidati maschi. La presenza femminile in ruoli di rilievo si accrescerà solo, se nel tempo, noi donne aumenteremo il nostro potenziale competitivo fino al punto da modificare conseguentemente la percezione generale del nostro livello di performance, lavorando sulle nostre peculiarità per trasformarle in vantaggi strategici. La condizione femminile di oggi è radicalmente diversa rispetto al passato: le donne sono più preparate, più agguerrite, più consapevoli di sé e capaci di annodare il mondo lavorativo con il familiare e il personale; come sosteneva Jung, "l’uomo è perfetto, ma la donna è completa". Certe politiche per le pari opportunità, come le quote rosa, sortiscono solamente il risultato di istituzionalizzare una disuguaglianza statica tra i due sessi, disuguaglianza che non sussisterebbe in termini così perentori nell’ambito della normale evoluzione della società che è di per sé un processo fluido. Di fronte a questi progetti d’ingegneria sociale, da liberali, è saggio e pragmatico scommettere sulla libertà individuale, sulla concorrenza e sul libero contratto.Lasciamo la questione di genere alle normali dinamiche di mercato e sarà quello che sarà, ovvero quello che nel tempo le libere scelte di tutti gli individui – uomini e donne – determineranno.

Nel 1971 negli USA neanche una donna era presente nei ranghi dell’FBI oggi ci sono 2.400 donne; ormai rappresentano il 76% dei lavoratori, il 32% sono avvocati (3% nel 1970), il 28% sono medici (8% nel 1970) e il 57% sono iscritte all’Università (43% nel 1970). Sembra dunque che le donne siano diventate più potenti ma meno felici. Che c’è di vero in questa affermazione?
Prendo spunto dalla ricerca “The Paradox of Declining Female Happiness” (Il paradosso del declino della felicità femminile) che ha fatto il giro del mondo scatenando una ridda d’ipotesi sulle cause del fenomeno.Condivido il concetto esposto che le donne oggi godono di maggiore benessere, salute e istruzione rispetto a 40 anni fa, che le differenze salariali si sono parzialmente cancellate; il tasso di istruzione è aumentato e sta sorpassando quello gli uomini; le conquiste della scienza permettono un controllo sulla fertilità senza precedenti, quelle tecnologiche di svolgere più rapidamente e con meno fatica le incombenze domestiche. Noi donne, oggi, siamo meno felici: il senso di benessere e di soddisfazione non combacia quindi con le conquiste sociali e i comfort materiali. Cominciamo la vita più soddisfatte degli uomini, ma via via che invecchiamo diventiamo sempre meno felici. Come mai? Indico quelle che, a mio avviso, potrebbero essere delle cause: Il famigerato “secondo turno” cui sono sottoposte le donne che lavorano fuori di casa, costrette, allo stesso tempo, ad affrontare il carico domestico. La crisi della famiglia: parallelamente all’aumento dei divorzi e delle nascite fuori dal matrimonio è cresciuto il numero di bambini che non vivono più con entrambi i genitori biologici e il cui peso ricade spesso solo sulle donne. All’impegno con cui molte donne affrontano la vita professionale non corrispondono risultati analoghi a quelli di molti uomini, e si rischia di fare molta fatica con scarso costrutto. Tuttavia non userei la parola infelicità. Piuttosto parlerei di stanchezza, di una spossatezza che pervade la vita quotidiana. Ci siamo accollate molti ruoli e questo, oltre a rendere la vita faticosa, non sempre ha pagato. Ci ha portato ad avere maggiori attese e quindi maggiori possibilità di essere deluse. Non a caso è tra i 45 e i 47 anni che l’insoddisfazione si radica, perché lì vedi che, dopo aver investito molto nel lavoro, fatichi a raccogliere i risultati. Gli uomini arrivano al vertice, le donne no: a parità di competenze vi giungono dieci anni dopo. È chiaro poi che la soddisfazione si definisce anche in conformità a chi ti confronti. Nel ’72, le donne si comparavano con altre donne, all’interno del proprio gruppo. Ora ci confrontiamo anche con gli uomini. E vediamo che le cose non vanno così bene. Troppi ruoli da ricoprire, dalla casa al lavoro, dalla coppia alla cura di sé e dei figli. E troppa fatica. Costrette a sgomitare in una società che non si è adeguata, che è sembrata accettare i cambiamenti, ma che nei fatti non è stata flessibile. Ed eccoci, di volta in volta a lottare su una barricata o a resistere in trincea. Spesso sole, o con accanto uomini che più che condividere, hanno ostacolato o semplicemente subito.

Autore: Redazione FNOMCeO

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