XII Rapporto AlmaLaurea: laureati-occupazione

Report n. 36/2010        

XII RAPPORTO ALMALAUREA: LAUREATI – OCCUPAZIONE

Il nuovo Rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani ha coinvolto oltre 210mila laureati con una partecipazione elevatissima degli intervistati: 90 per cento.
“La congiuntura economica internazionale è sospesa fra timidi segnali di ripresa ed impatti negativi sull’occupazione. L’Italia vive in modo particolare questo passaggio con un deterioramento nei mercati del lavoro che fa lievitare disoccupazione e scoraggiamento tanto più consistenti nel Mezzogiorno e fra le donne, e che colpisce soprattutto i più giovani”.

L’analisi, qui sintetizzata nei suoi aspetti più rilevanti, riguarda i laureati 2008, intervistati dopo un anno, nel 2009, che hanno iniziato a lavorare una volta acquisita la laurea. Rispetto al Rapporto dell’anno passato, che restituiva un quadro occupazionale appena sfiorato dalla crisi mondiale, la situazione quest’anno risulta assai più preoccupante. In un quadro di riferimento a tinte fosche, tuttavia, ciò che fa la differenza nella possibilità di uscita dalla crisi del Paese in un ruolo competitivo nel contesto internazionale è la consistenza e la qualità del capitale umano. Se è vero che ricerca è uguale a sviluppo e sviluppo è uguale a occupazione, obiettivo prioritario è investire di più e in modo più efficiente in formazione e ricerca, come fanno tutti i Paesi più avanzati. Occorre facilitare l’innesto nelle imprese, soprattutto medie e piccole, di alte competenze, scommettere in un futuro che non può fare a meno dei giovani e di un sistema produttivo e della ricerca sempre più protagonista nel Paese.

Approfondire una riflessione di ampio respiro su questo versante, evitando i catastrofismi – certo – ma anche la politica dello struzzo, vuol dire farsi carico di una vera e propria emergenza giovani evitando che alcune generazioni di ragazze e ragazzi preparati restino senza prospettive e mortificati fra un mercato del lavoro che non assume ed un mondo della ricerca privo di mezzi. Il fatto che fra i giovani più freschi di laurea (55 su cento) concludano i propri studi vantando nel proprio bagaglio formativo un periodo di stage in azienda riconosciuto dal corso di studi (un numero triplo di quello registrato fino al 2000, prima dell’avvio della riforma), ci pare il segnale importante di una nuova stagione di riconoscimento reciproco e di collaborazione fra le forze più attente e sensibili del mondo universitario e del mondo del lavoro e delle professioni.

Sarebbe infatti un errore imperdonabile sottovalutare o tardare ad intervenire in modo adeguato a favore delle più giovani generazioni. Quelle generazioni che costituiscono la risorsa fondamentale di ogni Paese, particolarmente quella parte di esse animata da forti aspirazioni ideali, supportata da solide intelligenze, disponibilità ad affrontare il nuovo e ad accettare la competizione fondata sulle capacità e sul merito, all’interno ed a livello internazionale. Generazioni tanto più da sostenere con attenzione in una realtà come quella italiana dove esse rappresentano una risorsa scarsa, per di più in difficoltà ad emergere a fronte del crescente invecchiamento della popolazione. In un Paese insomma che sembra non essere fatto per i giovani, che li vede a rischio di visibilità, condizionati da “gerontocrazie inamovibili” e dove ci si attende che essi stessi si facciano sentire diventando protagonisti delle scelte strategiche del Paese.

Rispetto alla precedente rilevazione, tutti i tipi di laurea esaminati hanno manifestato bruschi segnali di frenata della capacità di essere assorbiti dal mercato del lavoro: tra i laureati di primo livello il tasso di occupazione è sceso di quasi 7 punti percentuali (62 per cento rispetto al 69% dell’anno scorso), tra gli specialistici la contrazione registrata è di oltre 7 punti (45,5 per cento, solo un anno fa, era del 53%), mentre tra gli specialistici a ciclo unico – dove il tasso di occupazione è nettamente inferiore alla media a causa dell’elevata quota di chi prosegue la propria formazione con attività necessarie alla professione – è di oltre 5 punti percentuali (37%; il precedente tasso di occupazione era del 43%).

Il confronto tra pubblico e privato consente di sottolineare come, ancora a cinque anni, la precarietà caratterizzi ampiamente il settore pubblico (63%, in particolare legato alla maggiore diffusione dei contratti a tempo determinato) contrariamente a ciò che avviene nel settore privato, dove la stabilità è raggiunta dal 68% di chi vi lavora (l’analisi è opportunamente circoscritta ai lavoratori non autonomi che hanno iniziato l’attuale attività lavorativa dopo aver acquisito il titolo).

  • Laureati e diplomati a confronto: la laurea vale di più

La condizione occupazionale e retributiva dei laureati resta migliore di quella dei diplomati di scuola secondaria superiore. Autorevoli fonti ufficiali dicono che nell’intero arco della vita lavorativa,i laureati presentano un tasso di occupazione di oltre 10 punti percentuali maggiore dei diplomati (78,5 contro 67%). Anche la retribuzione premia i titoli di studio superiori: nell’intervallo 25-64 anni di età, risulta più elevata del 55% rispetto a quella percepita dai diplomati di scuola secondaria superiore. Un differenziale retributivo in linea con quanto rilevato in Germania, Regno Unito e Francia.

  • I laureati pre-riforma a tre e cinque anni dalla laurea

Le crescenti difficoltà occupazionali incontrate dai giovani, laureati compresi, nel corso del 2008 e del 2009 si sono inevitabilmente riversate anche sui laureati di più lunga data (pre-riforma intervistati dopo tre e cinque anni dal conseguimento del titolo). Gli indicatori considerati confermano un calo del tasso di occupazione e delle retribuzioni; solo la stabilità lavorativa sembra essersi mantenuta sui valori dell’anno precedente.
Il tasso di occupazione risulta in calo sia tra i laureati a tre che tra quelli a cinque anni: per i primi la contrazione è di circa 5 punti percentuali (la quota di occupati è pari al 67%), per i secondi è di quasi 4 punti (la quota di occupati è pari all’82%). Negli ultimi otto anni, la quota di laureati occupati, a tre anni dal conseguimento del titolo, ha subito una contrazione di oltre 8 punti percentuali.
Nonostante questi evidenti segni di difficoltà, con il trascorrere del tempo dal conseguimento del titolo la capacità di assorbimento da parte del mercato del lavoro resta ancora buona: tra uno e cinque anni dalla laurea, ad esempio, i laureati del 2004 (gli ultimi analizzati) mostrano un incremento del tasso di occupazione di circa 28 punti percentuali.

  • Il contesto di riferimento: pochi giovani e poco scolarizzati, scarsi investimenti

Nonostante l’apporto robusto di popolazione immigrata la consistenza numerica dei giovani 19enni è diminuita del 38 per cento negli ultimi 25 anni! Pochi giovani e poco scolarizzati. Anche se il recupero compiuto negli ultimi tempi è stato consistente, ancor oggi il confronto a livello dei Paesi più avanzati ci vede in ritardo: 19 laureati su cento di età 25-34 contro la media dei Paesi OECD pari a 34. E’ un ritardo dalle radici antiche e profonde: nella popolazione di età 55-64 sono laureati 9 italiani su cento, meno della metà di quanti non ce ne siano mediamente nei Paesi OECD e che riguarda ovviamente, sia pure su valori diversi, anche imprenditori e dirigenti, pubblici e privati.
Forse proprio questa diffusa soglia educazionale di basso profilo è all’origine della difficoltà a comprendere appieno il ruolo strategico degli investimenti in istruzione superiore e in ricerca per lo sviluppo del paese e per la competizione mondiale, e la persistente, scarsa considerazione nei loro confronti. Valori, obiettivi e prospettive che l’università invece dovrebbe possedere nel proprio patrimonio genetico ma che spesso ha declinato con colpevole miopia secondo una logica autoreferenziale, attenta più a curare i propri interessi particolari dell’oggi che a perseguire quelli più generali e di prospettiva della società.

  • Mobilità territoriale per studio e lavoro

Dall’analisi combinata tra area di residenza, di studio e di lavoro emerge una diversa mobilità geografica tra laureati del Nord, del Centro e del Sud. Dei laureati 2004 intervistati a cinque anni e residenti al Nord Italia, il 93% ha svolto gli studi universitari, e attualmente lavora, nella propria area di residenza; l’unico flusso di una certa consistenza vede il trasferimento per lavoro all’estero (3%).
Più elevati gli spostamenti per studio e lavoro dei giovani residenti al Centro, anche se la gran parte dei laureati non ha mai abbandonato la propria area di residenza (84%). Una parte (5,5%), dopo aver studiato nella propria area di residenza, lavora al Nord; una quota analoga (4%) torna a lavorare nella propria area di residenza, dopo aver studiato al Nord; infine, un ulteriore 2% studia al Nord e qui si ferma a lavorare.

  • Sono i laureati residenti nell’Italia meridionale a spostarsi di più per studio e lavoro

Complessivamente rappresentano il 40%, mentre l’altro 60% ha studiato e lavora nella propria area di residenza. Nel dettaglio, i flussi di mobilità sono alimentati per il 19% da quanti, dopo aver studiato nella propria area di residenza, trovano lavoro al Nord o al Centro (solo una minima parte si trasferisce all’estero); per il 13% da coloro che si sono trasferiti per motivi di studio e non sono rientrati, trovando un impiego lontano dalla propria area di residenza; infine, un laureato del Sud ogni 13 rientra nella propria terra dopo aver studiato fuori.
Il flusso di mobilità per motivi lavorativi da Sud a Nord coinvolge la maggior parte dei percorsi di studio. Esulano da tali considerazioni i laureati in ingegneria e psicologia, che studiano e lavorano al Nord; i laureati in educazione fisica e del gruppo politico-sociale, che dopo aver studiato al Nord tornano al Sud per lavorare.

P.S. Come sempre chi fosse interessato ad approfondire, la documentazione completa è a disposizione presso il Centro Studi e Documentazione della FNOMCeO.

Roma, 06/04/2010

Autore: Redazione FNOMCeO

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