Farmaci e genere: report dalla giornata di studi SIF

“Il genere non può essere separato dall’età”: esordisce così Flavia Franconi nella lezione magistrale “Il genere e le metodologie di indagine” al convegno “Salute e medicina in una prospettiva di genere”, IV Seminario Nazionale “Farmaci e Donne” organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla Società Italiana di Farmacologia (SIF) che si è svolto a Roma il 20 gennaio scorso.

“Oggi abbiamo sufficienti evidenze che dimostrano come le differenze uomo/donna vadano oltre le differenze ormonali”, ha sottolineato la Franconi, “e sappiamo che le variazioni ormonali presenti nella donna ci debbano far parlare di tante donne. Sappiamo che alcuni farmaci hanno un diverso effetto a seconda della fase mestruale: ad esempio l’antiaritmico ibutilde prolunga il QT nella preovulazione ed ovulazione, ma non nella fase luteinica. Inoltre i contraccettivi, usati ormai da un terzo delle donne italiane in età fertile, inducono modificazioni nel metabolismo degli altri farmaci.

Walter Malorni dell’ISS, nella seconda lezione magistrale “Il destino cellulare in una prospettiva di genere“, ha illustrato l’importanza della citologia e citopatologia di genere per l’individuazione di determinanti diagnostici e target terapeutici innovativi genere-appropriati. “Dagli studi su linee cellulari che diventavano, dopo decine di passaggi, contenitori tutti uguali, senza la memoria di cosa sono state”, ha ricordato Malorni, “siamo arrivati a modelli e linee cellulari che mantengono le caratteristiche e una sorta di “memoria” della loro origine sessuale. Sono linee primarie cellulari con pochi passaggi o cellule ex vivo con prelievo dal sangue periferico. Su queste cellule si è studiato cosa possa determinare la morte cellulare. Oltre alla “classica” forma di morte conosciuta come necrosi, ne sono state identificate altre. L’apoptosi, morte cellulare programmata, e l’autofagia una strategia di sopravvivenza al danno cellulare attraverso un processo di citoprotezione”.

Nella sua relazione, Malorni ha mostrato come a parità di stimolo le cellule isolate, provenienti da organismi maschili o femminili mostrano una diversa suscettibilità e possono andare incontro a destini diversi: “Le cellule proveniente da femmine hanno una maggiore plasticità comportamentale una maggiore capacità di adattarsi ai cambiamenti del microambiente che le circonda. Le cellule maschili appaiono più “inclini all’apoptosi”, mentre le cellule femminili “inclini all’autofagia” sopravvivono meglio e vanno verso la senescenza. Se l’uomo è un essere sociale e la sua salute è condizionata dal suo contesto anche le cellule hanno il loro sistema sociale”.

Nel convegno si è voluto mostrare come entrambi i generi sono soggetti a bias e come il pregiudizio di genere riguardi anche l’uomo. Sono stati presentati dati dai quali si apprende come l’osteoporosi coinvolga in modo rilevante anche il sesso maschile. Con l’avanzare dell’età nell’uomo vi è una ridotta neoformazione ossea con modesti incrementi del riassorbimento mentre nella donna prevale l’attività riassorbitiva. Pur avendo le ossa maschili una maggiore resistenza ossea (avviene “assottigliamento delle trabecole” versus la “perforazione delle trabecole” nelle donne) e pur essendo l’incidenza complessiva di fratture più bassa di quella femminile l’uomo presenta un più elevato tasso di morbilità e mortalità.

Al termine di una giornata ricca di interventi (tra cui quello di Maurizio Benato, vicepresidente FNOM), il professor Athanasios Koukopoulos del Centro Lucio Bini ha concluso le numerose relazioni parlando di “depressione e uomini”. Se la depressione sembra non colpire gli uomini è perché questi non riconoscono di essere affetti da depressione, “la vivono come un fallimento, hanno difficoltà nel chiedere aiuto e accettano meno la terapia”. I sintomi della depressione sono presenti negli uomini e nella profonda insicurezza che domina l’uomo depresso vi sono preoccupazioni sessuali ed economiche. Gli uomini soffrono meno di ansia e hanno con frequenza forme bipolari spesso con decorsi a cicli rapidi. La depressione è la causa più frequente del suicidio. I tentativi di suicidio sono tre volte più frequenti nelle donne ma i suicidi compiuti sono quattro volte più frequenti negli uomini che nelle donne, “perché nella patologia le donne perdono la capacità di legare emozioni e razionalità e gli uomini slatentizzano impulsi e aggressività.

Ha concluso Stefano Vella dell’Istituto Superiore di Sanità, sottolineando come stimolo e auspicio per una buona medicina di genere in Italia la presenza costante e vincolante di “gender aspects” nella progettazione europea.

Autore: Redazione FNOMCeO

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