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Medicina integrata, una risorsa per il SSN: intervista a Francesco Ceccherelli

Sta per iniziare a Padova, il 7 settembre, il Workshop “Sindrome Fibromialgica: approccio convenzionale e non convenzionale”. L’integrazione tra diverse metodiche terapeutiche – dal Supporto cognitivo-comportamentale alla Posturologia, dall’Auricoloterapia all’Agopuntura  – sarà al centro di questo Convegno multidisciplinare, che vede a confronto esperti delle diverse materie.

L’incontro, che cade in un momento cruciale, nel quale anche la Politica – con l’Accordo Stato Regioni sulle Medicine non Convenzionali e con i Disegni di Legge sulla cui unificazione è al lavoro un Comitato ristretto della Commissione Igiene e Sanità del Senato – presta particolare attenzione alla Medicina Integrata, è organizzato dall’A.I.R.A.S. (Associazione italiana per la Ricerca e l’Aggiornamento scientifico), un’Associazione senza fini di lucro che sin dal 1986 si occupa dello studio e della ricerca nel campo delle tecniche terapeutiche non invasive.

Tra i versanti di ricerca dell’A.I.R.A.S, la Riflessoterapia agopunturale, la Laserterapia medica a bassa potenza, la Fisiologia, Fisiopatologia e Terapia del Dolore. L’obiettivo è quello di contribuire alla conoscenza e alla verifica, basata sulla sperimentazione, sia a livello di ricerca di base sia clinica, delle Medicine non Convenzionali.

L’Associazione ha anche una sua Scuola, nella quale sono insegnate, ai massimi livelli scientifici, alcune tecniche terapeutiche complementari.

L’Ufficio Stampa FNOMCeO ha voluto approfondire le tematiche del Convegno di Padova insieme al suo Coordinatore scientifico, Francesco Ceccherelli, che dell’A.I.R.A.S. è il vicepresidente.   

Parliamo di Fibromialgia: come riconoscere questa malattia così subdola? È nota la sua eziopatogenesi?
La Fibromialgia è conosciuta da un secolo e mezzo ma, all’inizio, le descrizioni erano difformi tra di loro. Il primo a focalizzarla fu, negli anni ’60, il neurologo italiano Federigo Sicuteri, che le diede il nome di “panalgesia”. Ma fu solo negli anni ‘80 che il reumatologo americano Muhammad Yunus definì questa sindrome. Una sindrome complessa, difficile da individuare: ancora oggi definiamo come “fibromialgia” quadri clinici con cause molto diverse tra loro che, probabilmente, tra vent’anni saranno sotto- classificati in maniera distinta.
Oggi si diagnostica la fibromialgia quando è presente dolore contemporaneamente in almeno tre parti del corpo, e risultano sensibili almeno undici sui diciotto “tender points”, i punti che, stimolati, dolgono.
È senz’altro una malattia debilitante, che provoca molta sofferenza, fisica e psicologica. Il paziente perde la speranza di guarire, di vivere normalmente, di non provare più dolore.
La causa non si conosce con certezza, anche perché quadri clinici così differenti tra loro potrebbero aver origini diverse. Se parliamo di “fibromialgia” come sindrome, si può dire dunque che l’eziopatogenenesi è complessa, multifattoriale. Alla base c’è sicuramente un disordine della modulazione del dolore a livello centrale, un’alterazione del sistema nocicettivo – di percezione del dolore – con lo squilibrio di alcuni neurotrasmettitori, soprattutto la serotonina.
Esiste poi una componente motoria, responsabile della “fatica cronica” che accompagna molti pazienti affetti da questa sindrome.
A volte il quadro clinico insorge dopo un’infezione virale, dopo un trauma fisico o uno shock emotivo. Si nota un’incidenza maggiore nelle famiglie di cefalgici. Ogni paziente è dunque un caso a sé, per quanto riguarda sia i sintomi, sia i fattori scatenanti, sia, probabilmente, le cause della sindrome. Di conseguenza anche la terapia va, di volta in volta, personalizzata.

Nella pratica clinica, si è visto che funzionano diverse terapie e tecniche: dai Farmaci alla Posturologia, dall’Agopuntura all’Omeopatia. Questo può essere dovuto al fatto che l’eziopatogenesi è, appunto, multifattoriale? Oppure i diversi approcci agiscono semplicemente sui sintomi?

Sono state provate “empiricamente” moltissime tecniche e terapie, scegliendo tra Farmaci, tra le Medicine non Convenzionali, tra le cure per così dire “border line”, al confine tra la Medicina e i rimedi della tradizione. Alcune di esse si sono dimostrate efficaci: l’ipnosi, il biofeedback (una tecnica di autocontrollo di alcuni eventi fisiologici), diversi farmaci (ademetionina, antidepressivi serotoninergici, ansiolitici) e integratori (acetilcarnitina), l’agopuntura, l’auricoloterapia, ma anche i bagni caldi o gli esercizi aerobici preceduti e seguiti da stretching, per minimizzare il danno muscolare.
La fibromialgia, nella sua complessità, è il classico esempio di patologia per cui non basta una singola terapia, ma è necessario un vero “approccio integrato”, che vada a colpire i fattori eziopatogenetici, organici, funzionali, psichici.

I trattamenti devono essere valutati per ogni singolo paziente, dato che nessuno di essi si dimostra uniformemente efficace. Può essere questa un’occasione per un approccio “personalizzato” alla Medicina, che presti più attenzione al paziente?
Ogni paziente, come dicevamo, è un caso unico e irripetibile e va inquadrato sotto tre punti di vista.
Le alterazioni dei nocicettori – i recettori degli stimoli dolorosi – a livello centrale possono essere trattate con l’agopuntura, gli antidepressivi e con l’ademetionina, che hanno entrambe un meccanismo d’azione di inibizione del dolore a livello centrale.
La fatica cronica e la rigidità muscolare possono essere combattuti con il magnesio,i bagni caldi, con l’attività fisica moderata, con l’acetilcarnitina.
Non dobbiamo poi dimenticare l’aspetto psicologico: a seconda della gravità del caso, funziona bene la psicoterapia oppure le terapie comportamentali brevi o, ancora, i gruppi di aiuto.

La Fibromialgia è dunque paradigma di una vera Medicina Integrata, che affianchi tecniche farmacologiche e non. Anche la Politica sembra finalmente essersi accorta dell’efficacia di questo approccio terapeutico, benché in ritardo rispetto al resto dell’Europa. Quali potrebbero essere i vantaggi per il Sistema sanitario, in termini di efficienza ed efficacia?
La maggior parte di queste terapie non sono erogate dal Sistema sanitario nazionale, ma dalle strutture private, a carico del paziente. Nonostante l’accordo dell’8 febbraio, sono ancora poche le Regioni che hanno istituito poliambulatori dove si pratichino le Medicine non Convenzionali. Questo comporterebbe senz’altro un abbattimento dei costi delle terapie, per cui un paziente potrebbe, ad esempio, usufruire di un ciclo di sedute di agopuntura a fronte di un ticket di meno di cinque euro l’una.
Se invece queste terapie sono effettuate privatamente, i costi – anche solo quelli vivi per tenere aperto l’ambulatorio – lievitano. E, d’altro canto, i farmaci utilizzati sono per lo più in fascia C, a pagamento.
Chi soffre di questa sindrome incontra dunque difficoltà a curarsi, anche a livello economico. Ma al di là del caso specifico – benché ormai si stimi che la malattia colpisca il 3% della popolazione, un dato significativo da un punto di vista epidemiologico – è necessaria una politica sanitaria di più ampio respiro, che non miri solo al risparmio immediato, ma aiuti la diffusione di una cultura della Medicina integrata, rendendo accessibile a tutti le terapie non convenzionali di provata efficacia.

Professore, lei è stato tra i primi, in Italia, a portare l’Agopuntura in ambito universitario. Ritiene che dopo l’accordo Stato-Regioni dello scorso febbraio sulle Medicine non Convenzionali, il vento sia davvero cambiato?
La mia è stata innanzitutto una scelta personale, di vita: una lunga battaglia contro il dolore delle persone, con tutte le armi a disposizione, privilegiando le tecniche non invasive.
Ho partecipato alla Commissione interregionale sulle Medicine non Convenzionali che ha portato all’accordo Stato-Regioni dell’8 febbraio, sviluppando in un documento portato avanti dalla FNOMCeO e da altre realtà come la FISA (la Federazione delle Società di Agopuntura) i criteri di insegnamento di tali discipline.
Ma non basta stabilire tali criteri: la formazione deve essere punto di partenza per un’operazione culturale ad ampio spettro, che porterebbe risorse al nostro Sistema sanitario nazionale, in termini di efficacia e sicurezza delle cure, ma anche di risparmi.
È necessario dire basta a politiche miopi che mirino solo a tagliare fondi per la Sanità. È però, questa, una rivoluzione che, in un paese dove i pronto soccorso o i codici rossi smettono di funzionare a mezzanotte, va fatta a piccoli passi. Uno di essi è il convegno di sabato, su quella che sta diventando una vera e propria malattia sociale; un altro lo faremo il prossimo anno, parlando di approccio integrato alle patologie della spalla.

Autore: Redazione FNOMCeO

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